Capitolo 11

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Se mi avessero chiesto cosa volessi da quella ragazza non avrei saputo
rispondere. Vi era qualcosa in lei, però, che mi spingeva a cercarla, nonostante le avessi promesso di tenermi distante. Era un qualcosa che non riuscivo a percepire ma che mi scatenava un’emozione dentro ogni volta che incontravo i suoi occhi. Un’emozione alla quale non sapevo dare un nome, una sensazione dolce che rassicurava il mio animo inquieto.

Ma poi ritornava nella mia mente l’altro volto di Leonora, quello della Flamencita: accattivante, appassionato, seducente. E allora la voglia di sconvolgerla, di non darla vinta a quel viso angelico, usciva prepotente da farmi pensare di fare cose senza un minimo di ritegno. Come accadde quel giorno.

Nel rimettermi in marcia per tornare in piazza, passai nel viale dove due giorni prima avevo incontrato quella che avevo creduto essere la famosa ballerina di flamenco. Sperai di vederla per chiederle di passeggiare insieme, così che la voce che Juanita si accompagnasse ad uno straniero arrivasse alle orecchie della bella Leonora.

Fui fortunato. La trovai nel suo giardino che stendeva il bucato. La chiamai e i suoi occhi s’illuminarono.

«Buongiorno, Sebastian!» Mi raggiunse e aprì subito il cancello per farmi entrare.

«Buongiorno, Juanita, come state?»

«Bene!» rispose con un sorriso smagliante.

«Volevo chiedervi se vi andava di passeggiare un po’.» Andai dritto al punto. Non volevo perdere tempo con inutili convenevoli.

La vidi incupirsi. «Non posso, devo aiutare mia madre in casa. La mattina mi è impossibile fare altro.»

«Oggi nel pomeriggio, allora» le proposi senza pensarci su.

«Vedremo...»

«Bene, ci vediamo oggi, Juanita!» esclamai ammiccando e senza darle modo di reclamare. Ero sicuro che avrebbe fatto di tutto per trascorrere del tempo con me.

Rimase effettivamente basita, non si aspettava tanto ardimento da parte mia. Non disse nulla. Sorrise timidamente e basta. La salutai mandandole un bacio sulle dita della mano.

Ritornai alla locanda e attesi che tornasse Gonzalo per comunicargli il mio programma della giornata. Ovviamente, il tutto avvenne in maniera casuale, mettendogli semplicemente una pulce nell’orecchio raccontandogli che quel pomeriggio sarei stato in dolce compagnia, sicuro, tra l’altro, che ci sarebbero state orecchie indiscrete ad ascoltarmi.

***

Trovai Juanita nel suo giardino mentre il suo corpo si muoveva nei decisi e sensuali movimenti di un flamenco, diverso da quello che la Flamencita aveva danzato due sere prima.
E un’altra idea mi balenò alla mente.

Mi avvicinai finché non fui a pochi passi da lei. Di nuovo sul suo volto si aprì un sorriso smagliante e, prima ancora che mi si avvicinasse, le chiesi di insegnarmi a ballare. Mi guardò perplessa ma poi mi prese per mano e mi condusse dove c’era più spazio per poterci muovere.

«Credevo non veniste» esclamò, squadrandomi dalla testa ai piedi con bramosia.

«Ve lo avevo detto» risposi, lasciando che anche i miei occhi percorressero il suo corpo. Ma fu solo per compiacerla, non che ne fossi attratto.

«Anche l’altro giorno… vi aspettai alla locanda ma…»

«Ero stanco, molto stanco» mentii per chiudere subito quel discorso. E prima che facesse ancora riferimento alla “scortesia” ricevuta, la cinsi con decisione e le chiesi di insegnarmi il flamenco.

«Non dovevamo passeggiare?» mi chiese, avvampando.

«Dopo… prima il flamenco» ribattei.

«D’accordo!» acconsentì, sorridendo maliziosamente. «Possiamo anche darci del "tu"?»

«Come desideri!»

«E quale vuoi imparare? Quello classico sivigliano, quello della cordillera andaluza, quello apasionado, quello…»

«Quello apasionado mi intriga» le dissi in un sussurro facendola
capitolare. «Non perdiamo altro tempo» conclusi, distanziandomi da lei quel tanto da consentirle di muoversi.

Con grande piacere di Juanita, improvvisai quei passi di flamenco senza esitazione, imparando come un uomo doveva muoversi per dar vita a quella danza che diventava sempre più sensuale man mano che la musica avrebbe incalzato. Mentre nella mia mente si faceva sempre più viva l’immagine della Flamencita e della scommessa che avrei vinto davanti agli occhi di tutti.

«Ti va ancora di passeggiare?» mi chiese Juanita dopo che avemmo ripreso a respirare normalmente.

«Certo!» risposi sorridendo, pensando a come avrei dovuto far parlare di noi. «Andiamo!» dissi, porgendole il braccio.

Arrivammo in piazza chiacchierando di cose superflue. Gli sguardi di tutto il paese erano su di noi. Juanita non sembrava per nulla imbarazzata, anzi si stringeva al mio braccio sempre di più.

Percorremmo poi le stradine che conducevano lì dove i miei pensieri oramai si erano insediati. Ma non vi fu bisogno di arrivare fin lì.
Improvvisamente, davanti a noi apparve la figura dolce e aggraziata di Leonora. Stringeva a sé dei taccuini, mentre i suoi occhi sgranati e stupiti passavano da me a Juanita.

Mi fermai di proposito qualche istante per studiare il suo viso, il suo sguardo che parve fulminarmi.

«Con permesso!» esclamò, abbassando lo sguardo e sorpassandoci rapidamente.

Un tonfo mi fece voltare immediatamente. I taccuini le erano caduti e lei era lì china a raccoglierli. Non esitai. Lasciai la presa sul braccio di Juanita e mi chinai anch’io per aiutare Leonora.

«Grazie ma non c’è bisogno che mi aiutiate!» mormorò con un tono che mi sembrò indispettito.

Raccolse tremante i pochi quaderni e mi strappò letteralmente dalle mani l’unico che avevo preso io. Si sollevò rapidamente e corse via.

«Lasciala perdere, non c’è da fidarsi di quella lì. Si finge pura e innocente ma sa ben nascondersi così. È furba, manipolatrice, attira tutti con i suoi spettacoli di flamenco, ma è solamente un’approfittatrice a cui piace rubare la scena, attirare l’attenzione su di sé credendosi la più brava e la più bella ballerina. Ma in realtà, a parte incendiare la mente di qualsiasi uomo, non è altro che una donnetta da pochi soldi che si nasconde dietro un viso angelico che attira nella sua rete poveri malcapitati facendogli perdere il senno.»

Le parole colme d’astio di Juanita mi colpirono come una serie di frecce in pieno petto. Mi chiesi, ancora una volta, quale fosse il vero volto di Leonora. Possibile che quegli occhi scuri e profondi mi avevano tratto in inganno? La sua riservatezza era, dunque, solamente una copertura?

Osservai Juanita. Nei suoi occhi c’era disprezzo per quella ragazza, ma invece di leggervi repulsione, un senso d’invidia chiaro e forte mi apparve come un lampo accecante.
E allora capii che Leonora non poteva essere come l’aveva descritta Juanita. Leonora era purezza, ingenuità. Leonora era inavvicinabile non perché fosse altezzosa; Leonora era inarrivabile perché il suo cuore era incontaminato. E ancora una volta inflissi a me stesso di starle lontano, perché ero uno straniero e non potevo farle promesse.

La zingara dell'AndalusiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora