Capitolo 30

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Sebastian

Sono ancora fuori casa sua, non oso muovermi. Mi è difficile ora che finalmente l’ho rivista. Eppure sento di non poter restare qui, se qualcuno si accorgesse di me la metterei in difficoltà. Saranno trascorsi pochi minuti da quando è scappata. Avrei voluto fermarla, chiamarla, urlare il suo nome, ma la voce non è uscita e forse è stato meglio così.
Se resto ancora qui rischio di impazzire. C’è qualcuno in casa con lei e sicuramente non tornerà in giardino. Attendo ancora un po’ seminascosto dietro lo stesso albero che mi protesse anni fa. Nulla. È come se fosse sparita, come un sogno che al risveglio si dissolve e lascia dentro la nostalgia di riviverlo, pur sapendo che non sarà possibile.

M’incammino pensieroso, portandomi, di tanto in tanto, sulla guancia il palmo della mano, come se su di essa fosse rimasto impregnato il candore del suo viso, il suo dolce profumo.
Non faccio caso ai miei passi, a dove mi conducono. Non sento nemmeno il vocio delle poche persone incrociate per la strada. Quando sollevo lo sguardo mi ritrovo dinanzi alla barriera di arbusti che nasconde lo stretto vialetto che conduce giù al fiume. Non esito un istante a superarlo e poco dopo mi ritrovo in quel luogo tanto caro al mio cuore, in quella insenatura dove l’eco dei nostri sospiri ancora vive.
Mi guardo intorno, chiedendomi quante volte lei sarà venuta qui per confidare al fiume le sue pene, affinché la corrente potesse trascinare via tutto il suo dolore.
Ritrovo la roccia sulla quale i nostri corpi si adagiavano fino a sfiorarsi, la piccola capanna che è stata la culla del nostro amore. Sento l’eco delle sue risate, l’eco dei singhiozzi, l’eco di parole sussurrate ai nostri cuori.

Mi siedo nei pressi della riva portando le ginocchia al petto, poggiando il mento su di esse. Cingo le mie gambe con le braccia, in una sorta di protezione dal passato che aleggia imperturbabile in questo silenzio.
Mi chiedo se verrà, se il suo cuore la spingerà a raggiungere questo posto. Sono sicuro di ciò che ho letto nei suoi occhi: se dapprima è sembrata spaventata, come se avesse visto un fantasma, nel suo sguardo ho, poi, visto l’incredulità e la nostalgia. E sono certo di aver accarezzato un viso che anelava da tanto il mio tocco. Sì, nei suoi occhi c’ero ancora io.

Passa il tempo. Il sole è ben nascosto tra le foglie degli alberi. L’aria si sta discretamente rinfrescando. Forse ho sperato troppo. Lei non verrà.
D’altronde, come ho potuto pensare che lei potesse allontanarsi da casa? Magari da suo marito e… il pensiero che abbia avuto dei figli mi raggela.
La sua vita è andata avanti, dopotutto, non poteva fare diversamente. E spero che almeno la gioia di essere mamma le abbia dato un motivo per sorridere.

Improvvisamente sento dei passi, o forse è il fruscio del vento, perché mi volto ma non vedo nessuno. Mi prendo la testa tra le mani e, prima di farmi ancora stravolgere dai pensieri, decido di andare via. Forse, chissà, tornerò domani…
Faccio per sollevarmi, quando il rumore di poco prima si fa più intenso. Mi volto e ciò che i miei occhi vedono mi blocca, facendomi rimanere fermo, seduto immobile sulla ghiaia fredda.
È venuta. La mia Leonora è qui. Si avvicina lentamente, fermandosi a pochi centimetri da me. I nostri occhi s’incatenano sprofondando in un mare di ricordi.
Non riesco a muovermi. Ed è lei che questa volta, senza esitazione, sfiora il mio viso, incastrando le dita della sua mano nella mia barba non più incolta ma curata. Mi lascio avvincere dal suo tocco, chiudendo per un attimo gli occhi per poi riaprirli e contemplarla.

«Sei davvero tu?» mi chiede con voce tremula, quasi in un sussurro.

Quanto mi è mancata la sua voce!

«Sono io» le rispondo con voce altrettanto palpitante.

Sul volto gentile le si forma all’istante un sorriso, mentre i suoi occhi divengono lucidi.
Porto una mano sulla sua e con un lieve movimento la sposto sulle mie labbra per sfiorarle il palmo.
Mi alzo, leggermente indolenzito, e chino la testa per osservarla ancora.

La zingara dell'AndalusiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora