Il mattino seguente mi alzai di buon’ora, avevo dormito profondamente seppur per poche ore. Uscii a passeggiare, approfittai di quelle prime luci della giornata per godermi la pace e il silenzio che ancora avvolgevano il piccolo paese. Sorpassai la piazza e mi spinsi nella perlustrazione delle viuzze che si diramavano sul lato opposto a quelle che avevo percorso il giorno prima, godendomi il silenzio interrotto soltanto dai miei passi.
Un’ora dopo mi ritrovai nuovamente nella grande piazza dove già vi era un via vai di gente. Mi fermai ad osservare le costruzioni tutt’intorno rendendomi conto che fino ad allora non avevo prestato attenzione a ciò che la componeva: alcune case, una piccola fontana zampillante, una chiesa sul suo limitare. Notai un gruppo di donne che scendevano le scale del sagrato, probabilmente erano avvezze a partecipare alla Messa del mattino. Erano per lo più donne anziane, non molte. Pochi istanti dopo, scorsi anche una figura femminile più giovane. Qualcosa mi spinse involontariamente ad avvicinarmi; quasi non me ne resi conto. Era rimasta solo lei dietro quel gruppo di donne; ferma dinanzi alle porte della chiesa sembrava contemplare qualcosa, o forse aspettava che tutte andassero via. La osservai. Era lei... la ballerina di flamenco nella sua versione mansueta. La scrutai cercando inutilmente di nascondermi dietro la balaustra di marmo che faceva da corrimano, ma nello scendere le scale si voltò verso di me e i nostri occhi s’incrociarono. Rimase in bilico tra un gradino e l’altro, mentre io avanzai verso di lei sempre sospinto da una forza invisibile. E fu un bene, perché nel posare il suo piede sul gradino in basso perse l’equilibrio e rischiò di scivolare. L’afferrai prontamente, essendo ormai quasi a fine scalinata.«Attenta!» mormorai.
«Sto bene, potete lasciarmi!» disse, irrigidendosi.
Mi discostai e lasciai che scendesse quegli ultimi gradini.
«Posso permettermi di accompagnarvi?» osai chiederle.
In quei pochi secondi mi resi conto che avevo davanti a me “l’inavvicinabile” famosa ballerina che tutti ammiravano.
«Chi siete?» domandò, accigliandosi e procedendo a passo lento.
«Sono un vostro ammiratore» risposi, sorridendo maliziosamente.
«Non ho bisogno di essere accompagnata. Conosco la strada» disse piccata.
«Sicuramente, ma… volevo solo essere cortese» esclamai, non mollando la presa.
Se c’era una cosa che non sopportavo era perdere, soprattutto se si trattava di scommesse. E la posta in gioco, in quel momento, era alta. Non che avessi scommesso chissà cosa, in realtà nulla, ma non avrei perso l’opportunità di avvicinarmi a colei che, a quanto si diceva, non lasciava accostare nessuno. Gonzalo sarebbe rimasto a bocca aperta questa volta e a ridere sarei stato io.
«Vi ringrazio ma non ho bisogno di compagnia, soprattutto perché non vi conosco. Quindi, arrivederci!» esclamò, per poi avanzare il passo e tentare di darsi alla fuga.
Se credeva che mi sarei arreso si sbagliava.
«Mi chiamo Sebastian… Sebastian Dela Molin» mi presentai, camminandole davanti a marcia indietro. «Non volete dirmi il vostro nome? Mi pare di averlo udito ieri sera ma non sono sicuro che si riferissero a voi.»
«Se ci tenete a sapere il mio nome potete chiedere in giro» rispose, procedendo a marcia sempre più sostenuta, al punto che dovetti mettermi al suo fianco per tenerle il passo.
«Ma io voglio saperlo da voi, avete una voce stupenda. A proposito, cantate divinamente.»
Se in un primo momento il mio era stato un tentativo per adularla e continuare a stuzzicarla, ebbi poi la prontezza di farle davvero quel complimento senza doppi fini. La vidi arrossire e mi sembrò di scorgere un lieve sorriso che subito cancellò.
Non parlò.Attesi alcuni secondi.
«Non rispondete nemmeno ad un complimento?» incalzai.
«Grazie, siete molto gentile!» rispose con un tono tanto serio quanto inflessibile.
Non osò una sola volta guardarmi. Il suo sguardo era puntato fiero davanti a sé. Ebbi la sensazione che avesse quasi timore a puntare i suoi occhi nei miei. Se volgeva lo sguardo di lato faceva ben attenzione a non incontrare il mio. Non riusciva ad essere sciolta, notai quanto facesse fatica a non voltarsi verso di me. E quel particolare mi incitò a punzecchiarla ulteriormente.
«Perché non mi guardate mentre mi parlate?»
«Perché non vi sto parlando.»
«L’avete appena fatto.»
«Sto camminando, potrei inciampare.»
«Vi prenderei io, non vi lascerei cadere… come poco fa.»
Vidi il suo viso diventare completamente rosso per l’imbarazzo mentre io continuavo a sorridere. Nessuna donna aveva mai disdegnato la mia presenza, al contrario, erano loro che si avvicinavano, e se mai era capitato di aver rivolto la parola a qualche fanciulla un po’ più riservata, ricevendo disinteresse, avevo lasciato perdere senza insistere. Ma lei aveva un qualcosa di diverso, non era solamente per una scommessa che mi ostinavo a seguirla, mi piaceva questa sua ritrosia che non era di certo timidezza.
«Allora, me lo dite il vostro nome?» insistetti.
«Scopritelo da solo» rispose, sempre più pungente.
«Devo indovinare?» le chiesi, aspettando invano almeno un cenno con la testa che, però, non arrivò.
La sua indifferenza mi divertì ancora di più perché più lei mi ignorava più io insistevo.
«Ok, vediamo… Marcèla?»
Nessun segno.
«Ines… Dolores…»
Nulla.
«Soledad… Consuelo… María…» continuai così, facendo una lunga lista di nomi senza mai ricevere risposta.
Sul suo volto, però, notai spuntare un sorriso. Probabilmente si divertiva a tormentarmi mentre io continuavo soddisfatto per non essere stato cacciato via.
Improvvisamente rallentò e capii che eravamo arrivati fuori casa sua, proprio dove mi ero fermato il giorno prima. E finalmente mi rivolse lo sguardo.«Ecco, ora non potete più seguirmi. Sono arrivata» disse fermamente ma con un pizzico di sarcasmo come a farmi capire che non avrei più potuto importunarla.
La guardai. Scrutai i suoi occhi che a fatica erano puntati nei miei. La sua espressione parve rimproverarmi per poi mutare in qualcosa che osai definire malinconico, abbassando la maschera di una finta recalcitranza.
«Non volete dirmi come vi chiamate?» le chiesi dolcemente un’ultima volta.
Scosse il capo e benché nei suoi occhi intravidi anche un velato timore, sulle sue labbra spuntò un timido sorriso.
«Per tutti io sono soltanto la Flamencita, nulla di più» rispose mesta, per poi entrare nel suo giardino.
Non ebbi tempo di reclamare che qualcuno si avvicinò urlando.
«Leonora… Leonora, aspetta!»
Un tipetto non molto alto, con dei baffi e la faccia da burlone, ci raggiunse correndo e svicolando attraverso il cancello aperto la abbracciò impetuosamente.
«Sono tornato, amica mia!» esclamò, stringendola forte per poi voltarsi anche lui verso di me. «E questo chi è?» chiese poi sfacciatamente.
«Nessuno, Pablito, solo un ammiratore un po' invadente» rispose lei con tono pungente e con un finto sorriso bonario.
«Almeno ora so il vostro nome» dissi soddisfatto, ammiccando e facendola stizzire. Ma prima che entrambi dicessero qualcosa, sollevai la mano in segno di saluto e andai via sorridendo.