Quel pomeriggio Gonzalo mi disse che avrebbe voluto lasciare Almendra, ormai eravamo lì da qualche giorno ed era vano continuare a rimanerci dal momento che il posto non offriva attrazioni. Voleva raggiungere il centro di Siviglia, stare lì per un po' e continuare il nostro peregrinare per le valli Andaluse.
«Di bello qui da vedere c'è solamente la Flamencita, per il resto credo ci siamo fermati anche troppo. In fondo, volevi andar via già due giorni fa. È arrivato il momento, amico mio.»
Rimasi inerme a fissare il bicchiere colmo d'acqua che avevo tra le mani. A quelle parole mi resi conto che non ero più pronto a lasciare il paese... a lasciare Leonora. Quella ragazza aveva stravolto la mia mente, penetrava prepotentemente nei miei pensieri, invadeva le mie notti entrando nei miei sogni. Non facevo che pensare a lei in ogni momento della giornata e da quella mattina, da quando l'avevo trovata al fiume, il mio cuore non faceva che battere più forte.
Bevvi l'acqua tutto d'un fiato e senza rispondere mi alzai, per poi precipitarmi fuori dalla locanda mentre dietro di me Gonzalo continuava a chiedermi dove stessi andando. Volevo raggiungere il fiume al più presto, non ero sicuro che Leonora sarebbe venuta ma io dovevo esserci. L'avrei aspettata anche se invano.
Imboccai il vialetto a metà del quale vi era l'accesso alla stradina che mi avrebbe portato giù all'insenatura. Non c'era nessuno ma alcune voci agitate catturarono la mia curiosità. Avanzai e intravidi le figure di un giovane e di un bambino che si accingevano a spostare gli arbusti che sbarravano il passaggio alla stradina. Riconobbi Pablito e lo chiamai. Quando si voltò sembrò sollevato nel vedermi.
Gli chiesi cosa stesse succedendo e perché quel bambino piangesse.«Dobbiamo andare giù al fiume, Paco è corso lì. Potrebbe annegare» disse Pablito, agitandosi.
«Come ha fatto a passare da lì?» chiesi, indicando gli arbusti.
«Nessuno lo sa, ma qui c'è un passaggio. Dobbiamo muoverci» rispose, mentre aiutava il bambino a farsi largo tra le foglie.
Non ammisi di aver fatto già la scoperta quella mattina, ma mi affrettai a seguirli fin giù dove a gran voce entrambi urlavano il nome di Paco.
«Eccolo, eccolo!» La voce preoccupata del ragazzino ci spinse a superarlo e a guardarci in giro frettolosamente.
Su una piccola roccia al centro del fiume, Paco abbaiava, ma non sembrava per nulla spaventato. Avevo creduto che fosse un altro bambino, spavaldo e sicuro di sé da inerpicarsi oltre i limiti consentiti dagli adulti. E invece davanti ai miei occhi c'era un cagnolone che probabilmente aveva deciso di fare una fuga giù al fiume. Ma ciò che mi colpì fu la figura di una donna che cercava di attraversare le acque irrequiete tenendosi in equilibrio.
«Leonora!» sussurrai, sgranando gli occhi.
«Ma quella è...»
Non diedi tempo a Pablito di pronunciare il suo nome che la chiamai urlando, precipitandomi verso di lei, mentre il bambino continuava a gridare il nome del suo cane.
Senza togliermi le scarpe, mi sfilai velocemente solo la giubba che avrebbe impedito i miei movimenti e avanzai fin dentro il fiume.
«Fermati, Leonora! Torna indietro» le urlai, in preda allo spavento che potesse accaderle qualcosa.
«Devo salvare Paco» gridò a sua volta senza fermarsi.
«Lui è in grado di nuotare e tornare a riva. Fermati, per favore!»
Ma niente. Lei era più ostinata di un mulo. Continuai a camminare nella sua direzione a fatica, cercavo di velocizzare i miei passi ma l'instabilità del fondale, seppure non profondo, mi rallentava.