Decisi di non seguirla più, di lasciar perdere la mia “scommessa”, di non
importunarla più. Tutto era cominciato per caso e sapere che era proprio lei la famosa ballerina di flamenco mi aveva portato ad essere davvero impertinente, a credere di poter abbattere quel muro di indifferenza che l’avvolgeva. Mi ero sbagliato, avevo perso subito e avevo deciso di arrendermi, ma non perché non m’interessasse più la scommessa, al contrario, non ci pensavo nemmeno quando ero con lei. Decisi di mollare la presa per Leonora, per ciò che era realmente, per quella malinconia che avevo letto nei suoi bellissimi occhi. Non conoscevo nulla di lei, ma decisi di rispettarla. Inizialmente avevo pensato a lei semplicemente come la Flamencita, immaginando scenari ben diversi, giudicandola anche una donna dai facili costumi pur nascondendosi dietro una finta riservatezza. E, invece, dovetti ricredermi, perché Leonora non era niente di tutto ciò. Era tutt’altro ed io non potevo permettermi nemmeno di esserle amico. Ero uno straniero nella sua terra che molto presto sarebbe andato via. Non era conveniente, dunque, che la vedessero passeggiare accompagnata da un estraneo di cui nessuno sapeva nulla. Ed io non volevo crearle imbarazzo.Anche la mattina successiva uscii di buon’ora. Raggiunsi una piccola terrazza panoramica che si affacciava su un’estesa vallata attraversata in lontananza da una lingua di fiume che sembrava tagliare un piccolo agglomerato di case. Mi trovai a pensare a mia sorella e non potei far a meno di paragonarla a quella ragazza. In alcuni atteggiamenti erano molto simili. Anche Luz era volubile: un attimo prima era allegra, spensierata, rideva fino allo sfinimento, per poi spegnersi e perdersi nei suoi tormenti. E Leonora mi ricordava lei, nonostante non sapessi quali fantasmi la perseguitassero.
Ritornai in paese prendendo una decisione che avrei riferito a Gonzalo durante la colazione. Ma prima di rientrare alla locanda mi fermai nei pressi della fontana in piazza ed attesi che i fedeli uscissero dalla chiesa poco distante. Dov’ero, non avrebbero potuto vedermi, mentre io riuscivo ad inquadrare il sagrato e la piccola scalinata antistante la chiesa.
Vidi le prime donne andare via, altre si fermarono a chiacchierare. Ultima, invece, come il giorno prima, uscì lei che si fermò qualche istante per togliersi il velo dalla testa che le aveva fatto da copricapo. La vidi scendere attentamente i primi gradini per poi fermarsi e guardarsi intorno.
Purtroppo non riuscivo a vedere l’espressione del suo viso, né cosa
trapelasse dal suo sguardo. Ero troppo distante. Ma notai come cercasse qualcosa o qualcuno. Mi chiesi se era me che temeva di vedere di nuovo. E quel pensiero mi amareggiò. Avevo davvero esagerato pensando che la sua riluttanza fosse finta, che facesse la sostenuta per proteggersi da spudorati avventori. La vidi andar via camminando a passo spedito senza voltarsi mai, come se stesse fuggendo.
Non l’avrei più importunata, anche perché sarei andato via.***
«Che fine hai fatto ieri sera?» mi chiese Gonzalo mentre facevamo colazione.
«Sono andato a dormire presto» risposi apatico.
«Dormire?» mi chiese, sorridendo con malizia.
Lo guardai. Avevo capito la sua allusione.
«Ieri c’era la ragazza dell’altra sera che ti cercava di nuovo» aggiunse. «Ho dovuto dirle di non sapere dove fossi.»
«Hai fatto bene!»
«Ma cos’hai? Credevo volessi divertirti e, invece, guardati! Pare che tu sia stato travolto da un convoglio.»
«Ascolta, Gonzalo, oggi stesso partirò» dissi deciso.
«Come sarebbe? All’improvviso? Dove andrai?»
«Non lo so, probabilmente raggiungerò il centro di Siviglia e da lì poi continuerò il cammino. Tu non sei costretto a seguirmi, se vuoi rimanere qui, va bene!»
«No, no, vengo con te. Mi dispiace solamente che fra due giorni ci sarà il flamenco apasionado e… non volevo perdermelo» esclamò Gonzalo, visibilmente dispiaciuto.
«Se vuoi potrai raggiungermi fra qualche giorno, ti aspetterò in città» risposi con uno strano magone allo stomaco.
«Perché non rimani? Solo due giorni, poi partiremo.»
«Non posso!»
«È successo qualcosa?» mi chiese dubbioso.
«Nulla.» Dissi la verità. In fondo davvero non era successo niente di irreparabile.
«E allora, avanti, Sebastian… restiamo! E poi ti ricordo che hai una scommessa con me. Non vorrai mica farmi credere che la Flamencita ti sia indifferente!»
Quando pronunciò quel nome, nonostante l’avesse chiamata come facevano tutti, mi sembrò come se la stesse profanando. Gonzalo mi aveva già parlato di lei, ma in quel momento la vidi sulla bocca di tutti, negli occhi di uomini che smaniavano, fra le braccia del “fortunato” di turno che avrebbe danzato con lei. La differenza era che io non ci vedevo una donna esuberante, smaliziata, sfacciata… come poteva risultare ad occhi superficiali. Io ci vedevo una dolce fanciulla avvolta in un corpo concupiscente. E di nuovo mi chiesi lei chi fosse, cosa fosse. Mi chiesi perché mi aveva allontanato se poi durante la sua esibizione permetteva a chiunque di ballare con lei. Mi chiesi perché provava imbarazzo a parlare con me, se poi si lasciava afferrare da mani, sicuramente lascive, in quel particolare flamenco a cui, però, ero curioso di assistere. Mi chiesi come riuscisse a smettere i panni riservati e schivi di Leonora e a mutarsi nella sensuale e disinibita Flamencita.
«D’accordo, restiamo! Voglio proprio assistere a questo spettacolo» conclusi determinato e puntando il mio sguardo infuocato in un punto qualsiasi.
E mentre Gonzalo approvava entusiasta la mia decisione, la mia mente era pronta a riattaccare la “preda”.