30. Così come pianse anche il cielo

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Kim's P.O.V

Ero ferma su quella sedia da ore, il mio corpo sentiva freddo, bramava calore ma non riuscivo più neppure a muovermi. La paura la sentivo attecchire addosso, come un secondo strato di pelle, sottile ma onnipresente. Le lancette dell'orologio, ticchettavano un secondo dopo l'altro, fuori dalle vetrate dell'ospedale potevo sentire il vento scontrarsi sui muri con una rudezza inaudita da rabbrividire.

Era grigio, come la situazione che stavamo vivendo e mi sentivo sola, ma dentro di me un vuoto enorme mi stava facendo mancare fiato nel petto.

Il piede tamburellava forte a terra mentre il tempo pur passando sembrava non scorresse più, la tensione mi stava logorando.

Di tratto smisi di sentire il vento, cessarono anche le lancette e solo il rumore dalla porta, spalancata di getto, risuonò tagliente in quell'oblio. Sollevai il mento, ero sola, spaventata e il dottore mi guardò negli occhi con quel briciolo d'umanità che mi fece venire i brividi.

«Il ragazzo non ce l'ha fatta...mi dispiace molto signorina» io impallidii.

Di colpo sentii la terra mancarmi sotto ai piedi, uno sbalzo di pressione che mi fece vorticare la testa e salire un rigurgito nella gola che faticai a trattenere.

Non riuscii a rispondere, dalla mia bocca non uscii fiato alcuno, l'uomo di mezza età mi posò una mano sulla spalla in segno di solidarietà ma io vedevo nero. Non mi accorsi neppure quando fu il momento in cui rimasi sola, ma c'ero solo io e il dolore che mi consumava da dentro.

Ero a terra, con la schiena poggiata al muro gelido, con nemmeno una persona lì accanto a me con cui condividere tale dolore. Il fiato ancora mi mancava e buttai giù le prime lacrime senza neppure riuscire a respirare, con una mano stretta sullo stomaco che in quel momento si stava contorcendo dal dolore. Il cuore faceva male e pareva battere più lentamente del solito, come se volesse spegnersi con quella notizia.

Ero sovrastata, dalla brutalità di quella realtà che non avrei mai voluto vivere. Non c'era cosa più brutta che veder realizzarsi un orrore che fino a poco prima che accadesse, ti eri convinta di non poter mai sopportare. La consapevolezza peggiore di un lutto scoprii essere proprio realizzare che dopo tale perdita, tu vivi ancora. Il tuo cuore batte, i tuoi polmoni continuano ad incanalare aria, tu vorresti lasciare tutto ma sei ancora viva.

Bloccata nella sofferenza più grande che è sopravvivere alla morte di una persona che contava tanto nella tua vita.

La parete grigia di fronte a me era solo una macchia sfocata davanti ai miei occhi colmi di lacrime, brucianti, la vedevo distorta. Sentivo le palpebre gonfiarsi a tal punto da faticare a tenerle aperte e piangevo, ancora da sola e in silenzio, non riuscendomi a spiegare come la vita potesse essere tanto crudele.

Una pugnalata in pieno stomaco probabilmente avrebbe fatto meno male.

Come poteva Damon non essere più qui? Non avrei più visto i suoi occhi, non mi sarei più persa nelle tempeste delle sue iridi in continua guerra, non avrei più sentito il suo odore, non avrei più provato il calore di un suo abbraccio e cosa peggiore, non avremmo più potuto crescere il nostro bambino con tutto l'amore che c'eravamo detti di regalargli.

Come sarebbe stata la mia vita d'oggi in poi?

Il mio battito cardiaco era un sali scendi di velocità, così come la mia temperatura corporea, passavo dal caldo soffocante al freddo gelido che ti cristallizzava le ossa e il mio viso non riusciva a riasciugarsi dalle lacrime.

Mi ritrovai a scuotere la testa, persa nell'oblio che mi era diventato quel dolore straziante che stavo provando addosso. Strinsi le ginocchia al petto, lì a terra accovacciata e continuai a piangere, desiderando solo di scomparire.

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