40. Un amore rinato

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Kim's P.O.V

Era una mattina di fine estate.
Il caldo ancora accompagnava le giornate dall'alba al tramonto, un caldo sopportabile, uno che gratificava anche le passeggiate più lunghe.

Gli uccellini canticchiavano allegri fuori la finestra socchiusa di Isabel, la bambina guardava sognante oltre i vetri, sempre più grande ogni giorno che passava.

Se c'era una cosa che avevo davvero appreso da quando era venuta al mondo, è che bisogna sempre credere a chi ti dice "Goditeli ora che sono piccoli, perché crescono davvero in fretta".

Le infilai il vestitino dalle sfumature colorate sul lilla e il celeste e mi sorrise, non stava ferma un attimo, la finestrella nell'arcata inferiore dei suoi denti sbucò simpatica.

«Ho messo nello zainetto tutti i giochi necessari per me e Bonnie, non voglio che ci annoiamo» mi confidò guardandomi con i suoi occhioni dalle iridi grigie brillanti e ogni volta mi pareva di star guardando quelli del padre. Erano uguali. Lo stesso identico colore.

«Vedrai che vi divertirete anche senza giochi al lago, ci saranno tutti oggi» le sorrisi riavviandole una ciocca di capelli dietro le orecchie e spalancò la braccia il più possibile, voleva che la prendessi in braccio.

«Io non sono mai stata al lago, è bello?» domandò a un soffio dal mio viso mentre la tenevo stretta a me e la guardai negli occhi, era così fremente ed entusiasta.

«È bellissimo amore, vedrai come vi divertirete tu e Bonnie a correre sulle rive» le iridi le brillarono di felicità più che mai al sol pensiero ed io ogni volta rimanevo sorpresa, da come bastasse così poco per vederla tanto felice.

Mi scoccò un bacio sulla guancia prima di tornare sulle sue gambe a correre fuori dalla stanza ed io lisciai le pieghe sul suo letto rifatto, socchiusi meglio la finestra e dopo aver lanciato un'ultima occhiata alla stanza uscii a mia volta.

Camminai con un senso di serenità in corpo, che mi permetteva di sentirmi leggera come non mai. Mi fermai sulla soglia del salone, poggiandomi allo stipite dell'arco che lo divideva dal corridoio. I miei occhi non poterono fare a meno che posarsi sulla sua figura alta e asciutta. Davanti la vetrata della finestra nascosta da un paio di tende semitrasparenti, sembrava star litigando con i bottoncini della polo nera che aveva indossato. I bicipiti gonfi, completamente abbracciati dai bordi delle maniche corte, sembravano voler esplodere mentre teneva i gomiti così piegati.

Dovette sentirsi osservato, perché un attimo dopo i suoi occhi scuri scivolarono fin sul ciglio del salone, sino a posarsi nei miei. Sorrisi, lui notando di essere stato osservato a bisticciare con la sua maglia fece lo stesso e mi avvicinai divertita.

«Posso?» domandai a un passo dal suo corpo, i suoi occhi si alternarono dalle labbra che avevano fatto scivolar fuori quella richiesta ai miei occhi attenti su di lui ed annuì arreso.

Sganciai il bottone di troppo che aveva chiuso anche male e feci scivolare le mani sulle sue spalle, afferrai il colletto stropicciato e lo sistemai sotto al suo sguardo attento, che non voleva saperne di staccarsi dal mio viso.

Aggiustai anche la parte dietro rimanendo ferma dinanzi a lui e finalmente era perfetto.

«Ecco fatto» sussurrai sollevando gli occhi nei suoi e deglutii, le sue labbra schiuse sembravano aspettare solamente di imprimersi contro le mie e solo il pensiero, mi faceva constatare che fuse sarebbero state benissimo.

«Non ti avevo mai vista con questo vestito» sussurrò rocamente e le sue mani mi si posarono sui fianchi.

«È la prima volta che lo indosso» espirai sulle sue labbra e per un breve istante lo vidi socchiudere gli occhi, compiaciuto dal calore che l'aveva sfiorato «ti dona, sei bellissima» mi morsi il labbro colta dal più spontaneo e sincero dei sorrisi «non vedo l'ora di togliertelo sta sera...» con un lieve movimento mi tirò più a se e posò le labbra contro le mie.

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