Jackie
Sbatto le palpebre, sentendo l'ennesimo calcio dietro la schiena. Getto una breve occhiata a Judith, scuotendo il capo esasperata e dolorante per poi alzarmi dal mio vecchio letto. Devo aver mangiato così tanto ieri sera da essermi addormentata a casa dei miei, scommetto di non avere un bell'aspetto. Sospiro, scostando le lenzuola con il piede per poi fare il giro del letto e uscire dalla mia camera. Il bagno è in fondo al corridoio, busso non sentendo nessuno dall'altro lato. Entro, mi lavo la faccia senza neanche guardarmi allo specchio. Non appena mi asciugo il viso do un'occhiata alla mia immagine, affatto presentabile. Il trucco di ieri è ormai scomparso, ho le labbra leggermente arrossate e i capelli biondi sono un disastro. Ieri avevo usato la piastra per farli ondulati, ma sono poche le ciocche ancora perfette. Prendo una delle spazzole di mia madre dal mobiletto per poi pettinarmi. Dovrei essere al penitenziario per le dieci, sono ancora le nove e venti. Mi stiracchio la schiena, visto che Judith ha deciso di tempestarmi di calci stanotte e poi mi spoglio per farmi una doccia. Non ho il tempo di tornare a casa mia, quindi mi cambierò qui e ruberò qualche vecchio abito di mia madre. Dopo essermi spogliata ed essere entrata in doccia tiro la tenda, aprendo il getto per poi sciacquarmi e insaponarmi. Circa quindici minuti dopo sono quasi pronta, ma non ho ancora trovato niente da mettere. «Tesoro, devi fare tutto questo casino già a quest'ora?»
Ignoro la domanda di mia madre, frugando nel suo armadio. «Non avevo preventivato di restare a dormire da voi, ora non ho un cambio e non posso prendermi i vestiti di Sierra» sbuffo, tirando fuori un tubino nero accollato.
Magari può andare, ma solo per oggi.
Mia madre mi guarda con occhi assonnati, ancora appoggiata alla testata del letto. Mi guardo allo specchio e stavolta mi sento più presentabile: ho applicato il mascara per allungare le ciglia, l'eye-liner per evidenziare gli occhi verdi luminosi e un rossetto amaranto sulle labbra.
«Ho bisogno di una camomilla» borbotta mamma.
«Non posso fartela, devo scappare» snocciolo, lasciandole un bacio sulla guancia per poi osservare mio padre che ancora dorme e russa nel meglio del sonno. Saluto entrambi a bassa voce, scendendo al piano di sotto a piedi nudi. Mia madre mi ha fatto lasciare i tacchi davanti l'ingresso, è proprio ostinata. Glenn esce dalla cucina, passandosi una mano tra i capelli corti e disordinati.
«Vai a lavoro?» domanda.
Annuisco, infilandomi i tacchi per poi appoggiarmi al muro quando rischio di cadere.
«Sierra non è rientrata a casa?» domando preoccupata.
«No, ha detto che sarebbe rimasta a dormire da una sua amica» sospira, nient'affatto preoccupato. A volte ho come l'impressione che la mia famiglia viva nell'ottocento. So che Sierra ha delle amiche, ma essendo stata adolescente anche io so benissimo che spesso e volentieri si menta ai propri genitori. «So cosa pensi, sto scegliendo volutamente di darle fiducia» mi ridesta Glenn. Annuisco, sperando di ottenere la sua pazienza un giorno.
Lo saluto con un bacio sulla guancia, uscendo poi da casa dei miei. I tronchi che mio padre ha tagliato sono stati perfettamente divisi e messi di lato al portone, scendo i gradini e poi mi dirigo verso la mia auto, pregando di non trovare troppo traffico in giro. Quando arrivo al penitenziario, Simonette è già dietro il bancone e mi sorride, indicando la scatola rosa con dentro delle ciambelle. «Oh, ne avevo proprio bisogno» mugugno, prendendone una con la glassa fondente.
«Rachel si è offerta di comprarle oggi» mi fa sapere.
«Rachel?» domando confusa.
Annuisce, pulendosi le labbra con un fazzoletto. «Una delle nostre agenti» mi spiega. Non ho ancora incontrato tutti i dipendenti del penitenziario, non ho avuto il tempo purtroppo. «La ringrazi da parte mia se la vede, ora corro in ufficio» le faccio l'occhiolino. Salgo le scale, ma la sento richiamarmi. «Le ricordo che le telefonate al direttore si possono fare dalle dieci fino a mezzogiorno» mi avvisa e io alzo il pollice in su, ripromettendomi di chiamarlo. Appena mi siedo sulla poltrona sistemo il portatile davanti, firmo sul computer e poi compongo il numero del direttore sul telefono. La prima chiamata va a vuoto, nonostante siano già le dieci e venti. Provo di nuovo ma il telefono risulta spento, quindi non so cosa fare. Mi mordo il labbro inferiore, alzandomi dalla poltrona per poi uscire in corridoio. Mi dirigo verso gli uffici, bussando alla porta per attirare l'attenzione di alcuni agenti.
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Il Male In Te
ChickLitIl penitenziario di Jacksonville appariva come un luogo austero, privo di vita. Dietro quelle sbarre di metallo si nascondevano uomini pericolosi, viziosi e condannati. Il direttore, ormai esausto e pronto alla pensione, cercava disperatamente una n...