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Brett

Non c'è modo peggiore di iniziare la giornata.

Tutti i miei impegni, i miei piani sembrano prendere una direzione completamente diversa a seguito della chiamata di Boone. «Lui sa» mormora a denti stretti, mentre io passeggio sul marciapiede con il telefono nella mano sinistra e le chiavi nella destra. Il coltello è ancora all'interno della giacca di pelle, pronto per essere usato dal sottoscritto. «Chi sarebbe lui?» arriccio le labbra con noia. «L'agente Emilton: sospetta di una nostra collaborazione» dice ancora, mentre io alzo gli occhi al cielo. Scopro che l'agente non si fa gli affari suoi, fa domande agli altri colleghi e in più, Boone crede di essere stato pedinato da lui nei giorni passati. «Avevi un compito Boone, uno solo» scandisco bene. Salgo in auto, tentando di riflettere su come muovermi adesso.

«Cosa facciamo ora?» domanda.

«Tu non farai un bel niente, continuerai a fare le porcate che fai tutti i giorni con il direttore e ti fingerai un bravo agente del penitenziario» parlo. «Sarò io a occuparmi dell'agente ficcanaso» aggiungo, mettendo in moto l'auto. il motore della mia Ferrari d'epoca ruggisce, così come il mio animo al momento. Boone mi domanda come farò a muovermi, visto che sono lontano da Jacksonville ma io so già a chi chiedere aiuto. «Non ha importanza, ora chiudi questa chiamata e torna a fare il tuo lavoro» brontolo, sentendolo imprecare dall'altro lato del telefono quando sono il primo ad attaccare.

Compongo il numero di una mia adorata conoscenza, aspettando che risponda. Presto sento la voce di Eveline dall'altro lato del telefono e, un sorriso compiaciuto, spunta sulle mie labbra. «A cosa devo questo piacere?»

«Eveline, hai presente quell'auto-ritratto che tanto desideravi?» tento di corromperla. Questa donna farebbe anche i salti mortali per il sottoscritto, è un'ottima pedina da muovere in caso di necessità. «Se ti dicessi che sarei disposto a dipingertene uno, mi faresti un favore?» domando, ma so già la risposta.

«Sì, qualsiasi cosa» afferma senza tentennamento.

«Perfetto, avrei bisogno del tuo jet privato: si tratta di un'emergenza.» La borghese non si rifiuterebbe mai di aiutarmi, infatti nello stesso pomeriggio mi ritrovo sul suo jet privato diretto per Jacksonville. Eveline avrebbe tanto voluto accompagnarmi ma io le ho più volte chiesto di restarsene a Chicago, di non seguirmi. Non ho bisogno di palle al piede in questo momento, ne ho già una a casa. Grazie al mio alter-ego mi ritrovo una psicologa come coinquilina, peggio non poteva andarmi. Tamburello le dita sul sedile, guardando il panorama passarmi davanti al finestrino. Atterro a Jacksonville dopo qualche ora, il sole è calato e i lampioni sono accesi per far luce alla strada. Sento il telefono vibrare nella tasca dei jeans, presumo sia Boone a rompermi le scatole ma io lo ignoro. Dunque, in base alle ricerche svolte sul conto di Scott Emilton so che abita lungo Downtown, al numero dodici. A quest'ora sarà sicuramente al penitenziario, quindi ho ancora tempo per pensare a come levarmelo dai piedi. Sbuffo, guardandomi intorno per il marciapiede gremito di turisti sbarcati.

Mentre rifletto, a un tratto sento una voce familiare provenire da dietro di me. «Ben, sei tu?» domanda l'uomo. Non è possibile, proprio adesso dovevo incontrare Glenn Hole? Inspiro, ingoiando la scocciatura per poi voltarmi in sua direzione con un sorriso cordiale – e finto – stampato sulle labbra. Il fratello della psicologa è in compagnia della piccola Judith, che sembra avere un'aria imbronciata oltre che nostalgica.

«Credevo fossi partito» scuote il capo biondo Glenn. Indossa un cappellino da baseball bianco e verde, una maglietta larga abbinata e dei jeans strappati sul ginocchio. La figlia, probabilmente vestita dalla nonna, indossa una salopette di jeans con le ciliegie stampate.

«Sì, sono ritornato solo per prendere il resto delle mie cose. Sai, i traslochi a volte richiedono più tempo del previsto» faccio una smorfia, mentendo dall'inizio alla fine. Annuisce, mentre Judith mi guarda di traverso e stringe la mano a suo padre. «Papà, quando torna zia?» «Tesoro ne abbiamo già parlato, quindici giorni e poi ritorna a casa» le ripete, guardandola con aria esasperata. Ora ricordo, la piccola è molto legata a Jackie: la vede come una madre nella sua mente. Se sapesse che attualmente la tengo rinchiusa in casa non mi crederebbe. Glenn rialza il capo verso il mio, chiedendomi scusa per la scena. «Ti chiederei di farci una birra insieme, ma anche noi ci stiamo trasferendo al momento» dice. Alzo un sopracciglio, curioso di questo retroscena. «Ho comprato un appartamento mesi fa, lo stavo ristrutturando e finalmente ho finito i lavori» sorride.

«Sembra fantastico» mi ritrovo a dire.

«Già, lo è: ora devo andare ma, spero di riverti» sorride.

Annuisco, lasciando che mi dia qualche pacca sulla spalla per poi gettargli un'occhiata di sbieco non appena mi supera. Judith si volta a guardarmi proprio in quel momento, osserva il mio volto con sospetto e io non tento neanche di fingere un sorriso di quelli onesti stavolta.

Quanto potrà mai valere la parola di una mocciosa?

Non appena resto solo, mi ricordo dell'appuntamento a cui non posso assolutamente mancare. Quell'idiota di Boone aveva il compito di tenere a bada Emilton, ma a quanto pare non è stato in grado di mantenere fede al patto. L'agente corrotto è una mia pedina da tempo ormai: con le minacce si ottiene tutto, anche un aiutante che ti passa le informazioni necessarie e che ti aiuti a evadere dal penitenziario. Boone ha sempre nascosto la sua omosessualità, ma grazie a me ha capito di non riuscire a contenerla. I primi tempi li passava torturandomi: i suoi occhi color tempesta brillavano di fronte al mio corpo martoriato dalla frusta, dagli schiaffi e i graffi. All'epoca decisi di lasciarlo sfogare, curioso di capire fin dove volesse spingersi. Era palese che nutrisse dei sentimenti malsani per me, infatti li sfruttai con gran piacere. Una sera, Boone entrò di soppiatto nella mia cella, ignaro del fatto che io fossi sveglio. Ricordo vividamente le mie mani che lo soffocavano contro il muro e il suo colorito violaceo in volto. Fu in quel momento che io gli proposi una collaborazione e, spinto dalla mancanza di fiato, accettò la mia proposta. Tuttavia, ho sempre pensato che in realtà non si vendette a me per costrizione, ma per piacere.

E fece un grosso sbaglio.

Il Male In TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora