Jackie
Nonostante gli intoppi iniziali, la convivenza procede.
Sono passati due giorni da quando siamo arrivati a Chicago, Beltran è quasi sempre fuori casa ma quando c'è si diverte a finire i piatti che preparo con cura e fatica. Poiché nei giorni precedenti è stato impegnato con il lavoro, oggi mi ha promesso che mi avrebbe portato a fare un giro per la città e io non vedo l'ora di mettere piede fuori da queste mura. Il tempo è soleggiato ma c'è comunque un pochino di vento, infatti scelgo di mettermi qualcosa di più coprente: un semplice jeans a zampa di elefante azzurro e una camicia a quadri rossi e neri con le maniche arrotolate. Ai piedi infilo un paio di stivaletti che ho acquistato l'anno scorso ma che non ho mai messo.
Direi che sono pronta.
Esco dalla mia camera, sentendo la coda di cavallo ondeggiare contro la schiena a ogni passo che compio. Beltran è al piano di sotto, credo si stia bevendo una birra in cucina. «Scusa, ci ho messo più del previsto» soffio sorridente mentre lui alza gli occhi dal telefono e mi squadra da capo a piedi. «Stai andando a tagliare dei tronchi di legno?» ammicca, facendo lo spiritoso.
«Molto divertente» arriccio le labbra.
Scuote il capo, lasciando la birra ancora a metà sulla penisola sotto le mie occhiatacce. «Potresti anche metterla in frigo» sbuffo, andando a posarla perché lui è pigro da far schifo.
Brontola un "stai zitta", mentre io lo fulmino per i modi. Nel fine settimana arriverà la macchina di Beltran, quindi per ora dovremmo muoverci con i taxi o con la metro. «Usiamo la metro» dice quando siamo fuori, camminandomi di fronte. «Potresti rallentare il passo?» dico con il fiatone, mentre lui continua a marciare. Dovremmo farcela a piedi fino alla metropolitana, mica correre la maratona. Stringo la borsetta a tracolla sulla spalla, inseguendolo per tutto il marciapiede sotto lo sguardo incuriosito degli altri passanti. Quando, minuti dopo, ci sediamo sui sedili della metro non riesco più a respirare per quanto ho dovuto correre. Beltran mi getta un'occhiata superficiale, del tipo "sei poco atletica". «Gli psicologi non sono sportivi» arranco, chiudendo gli occhi contro il sedile. Scuote il capo, stravaccandosi meglio contro lo schienale. Il viaggio è rilassante ma quando arriviamo a destinazione e salgo gli innumerevoli scalini, finalmente ho il piacere di vedere il centro città. «Presumo tu voglia andare a fare compere» constata, guardandosi intorno per il marciapiede affollato di turisti.
«Sì, ma ho anche voglia di mangiare qualcosa» dico. «Uh, ci sono i saldi da H&M, vieni andiamo» lo tiro dalla manica della giacca, beccandomi una sua occhiataccia. Non credo che a Beltran piaccia fare spese, nonostante se ne stia fermo in un angolino a guardarmi con espressione ammonitrice, alla fine mi lascia gironzolare per il negozio quanto mi pare. Acquisto due vestiti più adatti per dicembre e anche un paio di stivali lunghi fino alle ginocchia con il tacco quadrato, semplici ma perfetti.
Pago con la carta, in seguito usciamo e gli chiedo come mai non abbia comprato nulla.
«Ho tutto quello che mi serve» pronuncia serio.
«Se lo dici tu» alzo le mani, notando un carretto che prepara Waffle con topping e creme di diverso gusto. Ovviamente lo tiro di nuovo dall'altro lato della strada e, stavolta, acquistiamo entrambi qualcosa.
«Davvero delizioso» mugugno.
Annuisce e, a giudicare dalla sua espressione, direi che preferisce spendere i soldi in cibo che in vestiti. A un certo punto, mentre mangiamo appoggiati a una ringhiera, Beltran riceve una telefonata. Risponde con noia, mentre io continuo a mangiare il mio Waffle. «Sarò lì per le otto.» Deve uscire di nuovo? Corrugo la fronte, domandandomi se sia davvero così movimentato il lavoro di un'artista. Presto chiude la chiamata e io lo guardo incuriosita, chiedendogli chi fosse. «Il direttore del museo» afferma, guardando il traffico davanti ai nostri occhi.
«Hai un evento a cui devi partecipare?» domando.
«Sì, è una mostra» spiega.
«Quindi dovrai seguire il tuo dress code?» chiedo ammiccante, mentre lui si volta a guardarmi con palpebre assottigliate e giudicanti. «Sì, vuoi venire?» chiede, usando un tono deciso ma non intimidatorio. Sgrano gli occhi, divenendo leggermente rossa in volto. Non sono mai stata a una mostra, non credo neanche di avere un abito adatto. «Non credo di avere il vestito giusto per un ambiente del genere» scuoto il capo, mentre lui infila una mano dentro la tasca posteriore dei suoi jeans e tira fuori il portafoglio.
Quando scorgo la sua carta di platino per poco non tossisco. Non pensavo guadagnasse così tanto da avere una carta del genere, maledizione. Me la porge senza troppa fatica, fidandosi ciecamente. «Usala, comprati quello che vuoi per la serata» intima ma io rifiuto. «No, ho la mia carta e non posso usare i tuoi soldi» nego con il capo mentre lui alza gli occhi al cielo, prendendo un respiro profondo. «La mia non era una richiesta» sorride per finta, mentre io schiocco le labbra. «Non posso accettare» scuoto il capo. Battibecchiamo sulla questione per ancora qualche altro secondo, ma alla fine sono io ad avere la meglio. «Domani mattina andrò a comprarmi un abito ma non userò mai la tua carta di credito» intimo, dandogli le spalle per poi incamminarmi verso la metro. «Quella è la direzione sbagliata» mi rimprovera. Faccio dietro front, mordendomi la lingua per poi superarlo con i nervi a mille. Poiché inizia a fare tardi, Beltran mi cammina di lato invece che davanti come faceva prima. Non appena nota un gruppo di ragazzi conversare vicino all'ingresso della metro mi fa da scudo, mettendosi dietro di me per poi lanciare loro delle pessime occhiate d'avvertimento quando mi fischiano dietro.
«Lascia perdere, andiamo» intimo, seria.
«Fammi tornare indietro» parla, guardando ancora gli scalini che abbiamo sceso prima.
«No, non farai nessuna scemenza: adesso andremo ai nostri posti e torneremo a casa, Beltran» lo avviso, determinata. Mi ascolta, ma non lo fa per davvero perché i suoi occhi sono fissi verso l'ingresso.
È duro di comprendonio.
Lo prendo per mano, il contatto con la sua pelle è istantaneo e, quando lui getta un'occhiata alle nostre dita unite, sembra ritornare al presente. «Andiamo» mormoro. Schiocca le labbra e, per la prima volta, mi accontenta ingoiando un bel masso: il suo orgoglio.

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Il Male In Te
ChickLitIl penitenziario di Jacksonville appariva come un luogo austero, privo di vita. Dietro quelle sbarre di metallo si nascondevano uomini pericolosi, viziosi e condannati. Il direttore, ormai esausto e pronto alla pensione, cercava disperatamente una n...