Jackie
Non ho mai amato i cimiteri.
Li reputo tristi, atoni e privi di ogni minimo di calore umano. Anche adesso, mentre osservo la foto di Nolan incorniciata nella pietra sento come un brivido su per la schiena. Tutti gli agenti e i dipendenti al penitenziario sono in lutto, alcuni fanno mezza giornata per controllare i detenuti altri invece hanno avuto la possibilità di restarsene a casa. Visti i precedenti, a me sono stati concessi tre giorni di riposo, non avrei potuto comunque effettuare le mie sedute per questioni di sicurezza.
E quindi eccomi qui, a porgere i miei saluti a uno degli agenti migliori che siano mai passati dal penitenziario. Tutti tessevano le sue lodi, Nolan era davvero un bravo ragazzo: giovane, bello e simpatico ma soprattutto professionale. Prendo un respiro profondo, lasciando le rose di lato alla tomba incastonata nel terreno. «Mi dispiace tanto Nolan, avrei dovuto chiederti scusa quando potevo e ora invece non mi è più possibile» mi trema il labbro inferiore. Tiro su con il naso, scuotendo il capo con amarezza. Accarezzo la sua foto un'ultima volta, chiedendogli perdono a bassa voce. Mi concedo solo qualche minuto per chiudere gli occhi, ma il cigolio del cancello mi riscuote tutta. Giro il capo, una folata di vento si imbatte sulle mie gambe. «C'è qualcuno?» domando, tirando su con il naso.
Non ricevo risposta, ma sento comunque uno strano disagio dentro di me – tuttavia lo scaccio.
Mi sposto una ciocca dietro l'orecchio, gettando una breve occhiata alla tomba per poi compiere un passo indietro con un sorriso amareggiato per la perdita. Calpesto la sabbiolina, tentando di non cadere sui tacchi. Ovunque mi giri vedo solo tombe, purtroppo. Salgo la rampa di scale, quando a un tratto sento uno strano presentimento. Mi blocco: al mio orecchio giungono dei passi pesanti. Credevo di essere sola al cimitero. Volto il capo, ma non vedo nessuno dietro di me. Sbatto le palpebre, leccandomi Il labbro inferiore con agitazione.
Sto impazzendo.
Scuoto il capo, aprendo la porta del cancello per poi uscire. Mentre guido verso il mio appartamento, la mente mi fa ricordare i genitori di Nolan. Erano distrutti, la madre piangeva disperata e si domandava perché quell'uomo avesse voluto uccidere proprio suo figlio. Le sue parole, in qualche modo, mi hanno fatta sentire colpevole di una mostruosità che non ho commesso. Inspiro, fermandomi a un semaforo per poi cambiare marcia. Perché Beltran l'ha ucciso? Sempre se sia stato lui oppure Brett. Che domanda idiota che mi pongo, quell'uomo non ha alcuna paura delle conseguenze: ucciderebbe chiunque gli dicesse una parola sbagliata. Quando rientro a casa, continuo a tartassarmi la mente e a non darmi le giuste risposte. Mi spoglio in bagno, mi faccio una doccia breve e poi esco dal box indossando l'asciugamano. Mi occupo del mio corpo, faccio cerette e spargo oli ovunque per poi usare il phon. Più tardi, mentre preparo il pranzo con i capelli perfettamente legati in una coda, il telefono vibra.
Mi volto per prenderlo e mi accorgo che è mio fratello.
«Glenn, sono a casa» lo informo.
«Stai bene?» domanda, mentre sento dei clacson in sottofondo.
«Sì, non mi sono ancora del tutto ripresa ma sto andando avanti. Nolan era un brav'uomo, la sua morte ha sconvolto tutti quanti al penitenziario» arriccio le labbra, tagliando i pomodori sul tagliere per poi porli dentro la padella. Gli chiedo se per caso voglia venire a mangiare da me con Judith e lui dice che prima dovrà passare a casa nostra. Mio fratello si è da poco comprato un appartamento, ma lo sta ancora rifinendo e per adesso vive dai miei per dare più conforto a Judith. Chiacchiero al telefono con mio fratello, sentendolo imprecare a un certo punto. «Cosa succede?» domando confusa.
«Credo che ci sia qualcosa che non vada nel motore.» Dei rumori strani mi portano ad allontanare il telefono dall'orecchio. Richiamo mio fratello, quando a un tratto borbotta qualcosa. «Ho dovuto fermare l'auto, esce del fumo» mi informa. Gli dico che posso andare a prenderlo io, quando a un tratto sento una terza voce, una maschile.
«Serve una mano?» domanda qualcuno.
Questo tono basso e virile, mi sembra familiare.
Assottiglio gli occhi, richiamando mio fratello che, come l'idiota non risponde. «Glenn, maledizione!» sbotto.
«Se ne intende di motori?» parla con quest'uomo.
Metto il vivavoce, continuando a cucinare. «Sì, mi lasci dare un'occhiata.» Attendo con impazienza, fin quando mio fratello non ritorna a calcolarmi.
«C'è un ragazzo che mi sta aiutando» dice.
«Non dovresti fidarti di chi non conosci» borbotto.
«Sembra sapere quello che fa, inoltre è l'unico che si è fermato per aiutarmi» mi fa sapere, affatto preoccupato. Avrebbe potuto chiamare un carro attrezzi, chi gli dice che il tipo che lo stia aiutando non sia un fuori di testa? Resto comunque al telefono, voglio fargli compagnia e dopo diversi minuti scopro che il misterioso ragazzo sembra essere un esperto. «Ti conviene portarla in un'officina. Puoi fare qualche metro, di sicurò camminerà ma non sforzarla troppo» consiglia con quel tono da brividi.
«Grazie mille amico» sicuramente si staranno stringendo la mano adesso, conosco mio fratello.
«Puoi dire alla tua donna di non preoccuparsi» accenna.
«No è mia sorella al telefono» risponde divertito.
Glenn non dovrebbe fraternizzare con quel tipo.
Continuo a non fidarmi, c'è qualcosa nel tono che mi fa contorcere e tremare. Presto sento il rumore di una portiera chiudersi e, dopo poco, mio fratello ritorna con me al cellulare. «Quel ragazzo ha detto che c'è un'officina qui vicino, ci sentiamo dopo Jackie» mi risponde.
«Va bene, stai attento» gli raccomando. Chiudiamo la chiamata allo stesso istante, ma continuo a non sentirmi tranquilla. La fuga di Beltran mi ha lasciato diverse preoccupazioni addosso, temo per la mia famiglia perché so, in fondo, che lui ritornerà.
Non so quando o come, ma tornerà.
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Il Male In Te
ChickLitIl penitenziario di Jacksonville appariva come un luogo austero, privo di vita. Dietro quelle sbarre di metallo si nascondevano uomini pericolosi, viziosi e condannati. Il direttore, ormai esausto e pronto alla pensione, cercava disperatamente una n...