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Jackie

La notte non porta consiglio come tutti credono.

Almeno, nel mio caso, non l'ha portato perché ha aggiunto solo tristezza e dolore. Sono consapevole della scelta che ho preso, ho scelto me stessa e il mio benessere invece che seguire il mio istinto. Scott è l'uomo che fa per me, quello adatto e più giusto con ideali simili ai miei. Beltran e io viaggiamo su due linee destinate a non incontrarsi mai, mi sembra persino strano che noi due ci siamo incrociati. Scuoto il capo, entrando nella cabina armadio per prepararmi a questa nuova settimana lavorativa. Tiro fuori dall'armadio un tubino nero che ho già indossato in precedenza, dalle bretelline quadrate e la scollatura dritta. Infilo ai piedi i soliti tacchi a spillo e poi entro in bagno per truccarmi con un filo di mascara e il rossetto rosso. Quando arrivo a lavoro saluto Simonette dietro il bancone, prendendo una ciambella dalla scatola per poi dirigermi in ufficio. Non riesco a chiacchierare con lei come vorrei poiché è al telefono, ma sono sicura di poter trovare un momento durante la giornata. Durante la mattina ho due tre sedute differenti, una è con Hernandez.

«Hai letto tutto il libro?» alzo le sopracciglia.

Annuisce, mentre si guarda intorno. «Non c'è molto da fare in cella, signorina Hole.»

«Spero che la commedia ti sia piaciuta. Ah, ti ho portato una piccola cosa» alzo un dito, abbassandomi verso la tracolla per tirare fuori il porta fortuna che sua moglie mi ha chiesto di donargli mercoledì scorso, durante le visite.

Tiro fuori il braccialetto con tre piccoli charm: sono le iniziali delle sue donne. Donna, Alma e Luna – sua moglie e le sue piccole. Sorride, il labbro inferiore gli trema leggermente e questo mi fa presuppore che il regalo gli sia piaciuto. Non potrei dare niente ai detenuti, ma dentro il mio ufficio non ci sono telecamere e credo che anche loro meritino un briciolo di felicità o un premio di tanto in tanto. Hernandez è il mio paziente migliore, disponibile e socievole il giusto. Ha un passato da spacciatore alle spalle, questo non gli fa onore ma per la sua famiglia farebbe enormi sacrifici.

«Quando uscirai da qui cosa farai?» domando.

Intanto guarda il bracciale e se lo rigira tra le dita, ma a fatica per via delle manette. «Non ne ho idea, al momento non riesco a vedermi come un lavoratore onesto.»

«Mi hai detto che ti piace suonare il pianoforte, hai mai pensato di diventare un musicista a teatro oppure un insegnante?» ammicco.

Sbatte le palpebre, scuotendo il capo con perplessità. «Non saprei, attualmente non riesco neanche a immaginare il fuori. Lo sogno, molte volte anche, ma fin quando non uscirò da questo penitenziario per me è difficile avere altro in testa.» Annuisco, tentando comunque di convincerlo a seguire una strada diversa da quella che aveva già intrapreso per sbaglio. Ho tutta la mattina impegnata con i detenuti, quindi quando è ora di pranzo mi vedo con Scott. Scende gli scalini, mentre io sono in procinto di aprire il portone del penitenziario. Sorrido, mentre lui sembra avere in viso un'espressione dura. «Qualcosa non va?» domando, confusa.

Si ferma di fronte a me, riflettendo attentamente prima di rispondermi con una bugia. «No, tutto alla grande.» Il suo sorriso non arriva al naso, ma mi apre comunque il portone per lasciarmi passare. Prendiamo la sua auto per pranzare ma il tragitto è silenzioso e questo mi preoccupa. «Scott è successo qualcosa? Sei troppo silenzioso, più del solito e questo mi lascia perplessa.» Irrigidisce la mascella, stringe le nocche sul volante e dopo si ferma al semaforo poiché è rosso. «Si tratta del mio lavoro, non sto facendo molti progressi con il caso di Nolan e il mio capo come sai attende con impazienza i risvolti.»

«Mi dispiace, non so proprio come aiutarti.»

«In realtà potresti parlarmene, aprirti con me» mi getta una breve occhiata che sembra tanto accusatoria.

«Avevamo detto di non parlare di lavoro.»

«Non te lo chiederei se non fossi a un punto morto, Jackie.» La madre di Scott ha ragione, lui è ossessionato dal suo mestiere. Mi passo una mano tra i capelli, cercando una soluzione a questo suo nervosismo. «Posso dirti qualcosa su me e Nolan se vuoi» faccio spallucce, decidendo di non irritarlo di più. Mi guarda, ma presto scatta il semaforo e riparte a causa dei clacson dietro di noi. «Nolan e io eravamo amici, ma spesso tendeva a essere molto protettivo nei miei confronti e questo ci ha portati a litigare. In seguito sai com'è andata a finire, c'è stata la sua morte e il suo funerale» esordisco.

«Ho come l'impressione che tu non mi stia raccontando tutto» dice, zittendomi d'improvviso. Sospiro, tornando a guardare il finestrino pur di ignorarlo. Quando arriviamo alla tavola calda, non ho molta fame e credo neanche lui.

Mi ha tolto l'appetito.

«Jackie» mi richiama, alzando gli occhi dal menù mentre io guardo il tavolo. «Cosa mi stai nascondendo?» Lo sapevo che prima o poi avrebbe fiutato la verità, è un agente d'altronde, un investigatore ed è nel suo mestiere scoprire le carte dei colpevoli. Magari non c'è bisogno che io gli dica proprio tutto, solo una parte della verità potrebbe anche andare bene giusto? «D'accordo...» sospiro. «Appena arrivata al penitenziario non mi volevano far avere alcun contatto con il detenuto dentro la cella d'isolamento, neanche il direttore. In seguito, a causa di un mio piccolo ricatto, il direttore mi diede le chiavi e io riuscì a conoscere Beltran» pronuncio.

«Lo chiami per nome» nota, con occhi attenti.

«Sì, sono stata l'unica ad avere un incontro con lui. Neanche gli altri psicologi prima di me volevano vederlo» inspiro. «Nolan non voleva che io affrontassi delle sedute con quell'uomo, spesso litigavamo per questo motivo. Alla fine siamo arrivati persino a non parlarci più a causa di tutto ciò» lo informo, frustrata. Adesso sembra che abbia il quadro chiaro, annuisce e sembra riflettere su qualcosa. «Poi è morto e a me è rimasto solo il senso di colpa per non avergli chiesto scusa.» Alza gli occhi nei miei, afflosciando le spalle per poi stravaccarsi contro lo schienale. «Scusami, non avrei dovuto metterti così tanta pressione addosso.»

«No, non avresti dovuto» scuoto la testa.

Capisce che sono ancora irritata, quindi resta in silenzio a tentare di capire come calmarmi ma più i secondi passano e più la situazione resta immutata.

Dopo aver mangiato in assoluto silenzio due hamburger, Scott si alza per andare a pagare ma io rifiuto e tiro fuori i soldi. Abbiamo un altro battibecco per chi paga il pranzo, ma alla fine vince lui e ciò peggiora di più il mio umore. Apro la portiera della sua auto, sbattendola sotto la sua occhiataccia. «Tenta almeno di non distruggermi l'auto, per piacere.» Ora inizia di nuovo a parlare, buono a sapersi. «Non riesco a capire, sei stata tu a confessarmi la verità e adesso saresti incazzata con me?» «Sì perché sembra che tu ponga il tuo lavoro pima di me, Scott» sbotto, mentre lui alza gli occhi al cielo.

Siamo già arrivati al nostro primo litigio.

«Ma per piacere, non devo darti nessuna spiegazione perché alla fine dei conti noi non stiamo neanche insieme giusto?» sbotta, lanciandomi un'occhiataccia. Schiudo le labbra, adesso mi ritornano in mente le parole di Rachel: "Sembra essere un tipo anti-relazione."

«Ci stiamo frequentando o mi sbaglio?» gracchio.

«Sì, io me lo ricordo ma tu?» sembra un'accusa la sua. Gli chiedo di cosa stia parlando e lui si passa una mano tra i capelli, frustrato. «Intendo dire che a volte ci sei e a volte no. Tutte le volte che tento di baciarti fai finta di non cogliere il messaggio e giri il viso, inoltre hai preferito non venire da me nel weekend e posso anche capirlo questo, ma c'è qualcosa che ti blocca nei miei confronti.» Non riesco più a parlare, il senso di colpa mi divora e anche una nuova consapevolezza si fa strada dentro di me. Non sto affatto dando il massimo per farmi piacere da Scott, non ci provo neanche e questo mi rende una persona cattiva.

Il problema non è lui, ma io.

Il Male In TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora