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Jackie

Temo di aver perso il conto delle celle che ho visitato. Non credo di potermi ricordare tutti i nomi che ho appena sentito, i detenuti sono parecchi e la mia memoria non è così fervida. Arriccio le labbra, terminando di scrivere l'ennesimo nome complicato sul post-it. Rachel tenta di mantenere il silenzio, ma è piuttosto complicato persino per lei. «Ricordi tutti i loro nomi?» le chiedo curiosa, continuando a camminare nel corridoio al suo fianco.

«Sì, più o meno» fa spallucce.

«Bene, sai come si pronuncia questo nome? Credo sia indiano o qualcosa del genere» indico il nome sul foglietto.

Dà un'occhiata, arricciando le labbra. «Chiamalo AJ.» «Noi preferiamo di gran lunga chiamarli con i loro nomi d'arte – se così si possono definire. Sai che quest'uomo era un trafficante di donne?» mi osserva e io sento un brivido freddo sulla mia schiena. Scuoto il capo, abbassando il blocchetto per poi gettare un'occhiata alla porta blindata di fronte a noi. Rachel segue la mia traiettoria, scuotendo il capo con un risolino esasperato.

«Qualsiasi sia il tuo pensiero, levatelo dalla testa» dice.

«Il direttore ha detto che non mi avrebbe messa in contatto con quell'uomo, tu sai perché?» domando.

Annuisce, facendo dietro front per tornare al piano superiore insieme a me. «Quando quell'uomo è stato portato qui, io non lavoravo ancora per il penitenziario: ero alla centrale» scuote il capo, lanciando occhiate alle celle.

«So che ha commesso più di un omicidio e che non prova alcun rimorso.» Il racconto di Rachel mi fa presuppore che dietro quella porta ci sia davvero una persona feroce, aggressiva. Mi rivela che gli hanno persino messo la camicia di forza e che durante le attività extra il detenuto non viene rilasciato. Corrugo la fronte, sentendo un magone nel petto per quell'uomo. Non dovrei provare empatia, parliamo di un serial killer ma credo che restare in una cella ventiquattrore su ventiquattro e sette giorni su sette non faccia altro che escluderlo dalla società. Appena arriviamo al piano di sopra la ringrazio per avermi dato una mano, in seguito la saluto e mi dirigo verso l'ufficio. Rimango chiusa in ufficio fino all'una, ma presto chiudo il portatile e mi rilasso contro lo schienale. Sicuramente andrò a comprarmi qualcosa da mangiare adesso, ho tre ore di pausa e devo rilassarmi in qualche modo. Pomeriggio ho segnato tre sedute, mi sono appuntata i nomi dei detenuti che hanno accettato di parlare con me.

Dovrei parlarne con Nolan, a proposito.

Raccolgo la tracolla, uscendo dall'ufficio, ma appena abbasso la maniglia mi ritrovo l'agente davanti al mio viso. compio un passo indietro, poggiando una mano al petto mentre lui mi osserva divertito.

«Scusa, stavo per bussare» sorride.

«Non preoccuparti, stavo solo perdendo cinque anni di vita ma nulla di grave» prendo un profondo respiro.

«Io e i ragazzi stavamo andando a pranzare, ti va di raggiungerci?» domanda, mordendosi il labbro inferiore.

«Sì, a dirla tutta dovrei pranzare anche io e poi volevo parlarti» richiudo la porta dietro di me.

«Pomeriggio vorrei effettuare le prime sedute, tre detenuti hanno accettato di scambiare qualche chiacchiera con me e io mi sono appuntata i loro nomi» spiego, porgendogli il foglietto. «Mi domandavo se potessi scortarli nel mio ufficio» lo guardo, in attesa di una risposta. «Sì, ma per questioni di sicurezza dovrò fargli tenere le manette» spiega. Annuisco, poiché per adesso non li conosco poi così bene e ho bisogno di avere un quadro generale prima di dargli almeno un briciolo di fiducia. Ci mettiamo d'accordo per degli orari, in seguito scendiamo le scale e trovo Rachel e l'altro agente dalla pelle scura davanti al portone. Simonette non è al bancone, quindi sarà in pausa anche lei presumo.

Il Male In TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora