Jackie
Non ho chiuso occhio stanotte.
Non ho fatto altro che pensare a Beltran e alla sua partenza. L'orologio e le lancette sono diventate le mie nemiche più grandi da ieri sera. Mi rigiro nel mio vecchio letto da adolescente, guardandomi intorno per la camera dalle pareti canarino e i poster con i cavalli raffigurati. Facevo equitazione da piccola, ero davvero brava e avevo vinto qualche coppa insieme a Duster. Adesso osservo le medaglie posate sullo scaffale a destra della finestra, insieme a qualche mia vecchia foto di quando andavo alle medie e al liceo. Judith continua a darmi calci contro la schiena e io alzo gli occhi al cielo, decidendo di issarmi dal materasso. Esco, vado in bagno per darmi una sciacquata al viso e anche per fare i miei bisogni. Presto scendo al piano di sotto, ho bisogno di una tisana. Dopo aver messo l'acqua nel pentolino accendo il gas, riflettendo di continuo sulla partenza di Beltran. Sento come un blocco, una specie di nausea all'idea di non vederlo più e non mi sento bene. Ieri sera ho malapena mangiato, mia madre infatti si è arrabbiata perché si è adoperata tanto per la cena e io ho lasciato tutto nel piatto.
«Hai una faccia orribile» mi ridesta Sierra.
Sono le quattro del mattino, cosa ci fa sveglia a quest'ora? «Non ho dormito bene» affermo raucamente.
«Oh si vede, tranquilla» sfotte, aprendo il frigo.
Indossa una maglietta nera e un pantaloncino a scacchi bianchi e grigi, i suoi capelli lisci sono liberi.
È incredibile come tutt'e tre siamo venuti su biondi e dagli occhi verdi, abbiamo preso da nostra madre e sembriamo fotocopie. «Cosa ti affligge? Non dormi solo quando sei contrariata da qualcosa o pensierosa.»
«Niente, riguarda il lavoro» mento.
«Certo, come no.»
Mi supera, uscendo dalla cucina con una breve smorfia e il suo bicchiere d'acqua. Mentre bevo la mia tisana seduta sullo sgabello della penisola rifletto e rifletto ancora su cosa fare, ma la risposta arriva solo quando ore dopo arrivo al penitenziario già vestita di tutto punto. Mi rinchiudo in ufficio, a malapena ho dato confidenza agli altri colleghi stamattina. Mi continuo a chiedere quale sia il senso di tutto questo, non faccio altro che andare contro corrente e fare cose che mi incatenano in un modo o nell'altro. Ho scelto Scott, eppure mi sento comunque inchiodata a terra da delle catene spesse. Sto bene con lui, è ciò che mi renderebbe orgogliosa di me stessa e della mia vita eppure mi manca qualcosa.
Mi manca il desiderio.
Schiocco le labbra, prendendo una decisione definitiva. So che sto sbagliando, che sto rischiando grosso ma per una volta voglio ascoltare quel maledetto organo vitale che ho dentro il petto. Apro il portatile, scrivendo al direttore dell'ospedale. Spero che la mia richiesta venga accolta il prima possibile – entro oggi magari. Dopo aver inviato l'email, attendo quasi tutta la mattina la risposta. Tra una seduta e l'altra, controllo la posta, ma non trovo responso.
Questa attesa, questa ansia mi fa capire che devo parlare con Scott ed essere sincera.
Glielo devo.
Mi avvio verso gli uffici degli agenti, busso alla porta e mi mordo il labbro inferiore. «Ehi» sorrido poco sicura.
«Ciao, come mai da queste parti?» domanda curioso, venendomi incontro. Mette le mani intorno alla mia schiena e io resto leggermente distaccata, tentando di fargli capire che dobbiamo affrontare un argomento delicato. «Possiamo parlare soli?» chiedo, guardando Nito e Rachel che sono alla finestra con un caffè in mano e ci fissano da veri curiosoni. Annuisce, allontanando le braccia confuso per poi seguirmi. Mi dirigo verso l'esterno, richiudendo il portone dell'edificio alle nostre spalle sotto lo sguardo sospettoso di Simonette. «Presumo tu non voglia chiedermi della partita» si morde il labbro, prendendo un profondo respiro. Credo che abbia già capito qualcosa, infatti sono anche più agitata di prima. Scendiamo i gradini, incrocio le braccia al petto e inspiro, non sapendo da dove iniziare. «No, in realtà no» tento di prendere tempo. «Scott credo che io abbia sbagliato con te. So che suonerò incoerente, ma penso che tu debba sapere la verità e la verità è che io provo una forte attrazione fisica nei tuoi confronti che però non si evolve in qualcosa di più profondo e, credimi, lo vorrei davvero» prendo una boccata d'aria tra una parola e l'altra, mi sembra di avere il cuore in gola. Il suo viso si trasforma in pietra, di colpo non mi sembra essere più aperto al dialogo. Avrei potuto aspettare, prendere una decisione del genere con più riflessionema non mi serve.
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Il Male In Te
ChickLitIl penitenziario di Jacksonville appariva come un luogo austero, privo di vita. Dietro quelle sbarre di metallo si nascondevano uomini pericolosi, viziosi e condannati. Il direttore, ormai esausto e pronto alla pensione, cercava disperatamente una n...