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Jackie

Convivere con un uomo non era nei miei piani.

Eppure, adesso mi ritrovo in una casa che non è la mia e in una città che non mi appartiene per capire che genere di sentimenti albergano nel mio cuore. Avere a che fare con Beltran non è semplice, bisogna sempre intuire i suoi gesti o i suoi sguardi per capire cosa gli passa per la testa ‒ inoltre non è un tipo espansivo o che mi racconta di sé con piacere. Durante la colazione, scopro che ha un grande appetito ma, a dirla tutta, l'avevo già notato al nostro primo appuntamento, mentre si gustava quelle alette di pollo piccanti. «Cos'hai da ridere?» brontola, risvegliandomi dalla mia trance. Scuoto il capo, dicendogli che stavo pensando a qualcosa di futile. Bevo un sorso di succo, domandandomi come faccia a mantenersi.

Effettivamente, non so niente su sul conto.

«Posso farti una domanda?» chiedo.

Mi getta una breve occhiata di sbieco. «Me la faresti a prescindere» non si stupisce affatto.

«Di cosa ti occupi?» sono curiosa.

Alza un sopracciglio, pulendosi le labbra. «Secondo te?» ammicca, stravaccandosi meglio sulla sedia. Ci fosse una volta che risponde direttamente alle mie domande, maledizione. «Non so nulla sulla tua vita privata Beltran, non posso neanche tirare a indovinare» lamento mentre lui schiocca le labbra e guarda fuori dalla finestra con indifferenza. «Vendo dipinti su commissione» rivela, lasciandomi sorpresa.

Non credevo fosse un'artista.

«Sei un pittore?» mi sorprende questo suo lato.

Annuisce, mentre io mi domando se per caso quei dipinti all'ingresso siano i suoi. Se così fosse, sono davvero magnifici. «Perché non me l'hai detto prima?» domando confusa, intanto che si alza dalla sedia e si dirige verso il lavandino per posare il piatto. «Non ne ho avuto il modo» dichiara, ancora immerso nei suoi pensieri.

«E la gente non ti riconosce...?» continuo.

Scuote il capo, poggiandosi di schiena al lavandino. «Non sono mica un assassino su scala internazionale» fa una smorfia saccente. «Inoltre i miei dipinti vengono spediti tramite posta e, durante le mostre, richiedo un dress code specifico con tanto di maschera in volto.»

Ingegnoso, non c'è che dire.

«Nessuno sa chi sei in questo modo...» il mio tono di voce mi tradisce, l'amarezza si sente sulla punta della lingua e lui ci fa caso. Assottiglia gli occhi, trucidandomi con lo sguardo per poi staccarsi dal lavandino. «Stupida» lo sento mormorare, mentre io lo fulmino infastidita.

«Adesso mi insulti?» gracchio.

Si ferma sotto l'arco, leccandosi il labbro inferiore prima di aprire bocca e attaccarmi. «Non fare la finta tonta, hai sempre saputo chi fossi e cosa facessi fin dall'inizio ‒ quindi risparmiati le tue cazzo di paranoie e smettila di rinfacciarmi chi sono» alza il tono, facendomi irrigidire sul posto. Non gli rivolgo parola, devio lo sguardo e mi concentro a guardare il muro piuttosto che lui. Una parte di me sa che ha ragione, so cosa fa e il male che fa alle altre persone ma io continuo comunque a "proteggerlo".

Tuttavia, la mia parte razionale ‒ nonché la più predominante ‒ tende spesso a rinfacciargli il dolore che causa agli altri e spera che lui possa cambiare in futuro per il bene di tutti quanti oltre che di sé stesso. Beltran esce dalla cucina senza più dire una parola, sento solo i suoi passi pesanti sulle scale e una porta sbattere.

Meglio che inizi a pulire tutto.

Passo quasi tutta la mattina in camera mia ma, quando sto per uscire, la porta della camera di Beltran viene socchiusa. Alzo il capo, vedendolo avanzare verso le scale senza degnarmi di un'occhiata. Inspiro, preparandomi mentalmente al discorso che voglio fargli. «Stai uscendo?» domando, mentre lui annuisce brevemente. «Ho un quadro da spedire» mi informa, freddamente. «Beltran aspetta» lo richiamo, vedendolo fermarsi di spalle sul primo gradino. «Mi dispiace, so che tendo a rovinare sempre tutto a causa delle mie preoccupazioni ma... devi accettare il fatto che una parte di me ti porterà sempre rancore per il male che causi agli altri» mi torturo le unghie. Gira lievemente il capo, assottigliando le palpebre a ogni mia parola. «Hai un modo particolare di chiedere scusa» mi studia, non sembrando convinto al cento per cento. Compio un passo in sua direzione, mordendomi il labbro inferiore per poi guardarlo in volto.

«Tregua?» attendo un segnale di pace da parte sua.

Si guarda intorno, ma poi annuisce brevemente e io mi sento sollevata. «Adesso devo andare, ho un dipinto da consegnare» dice, dandomi le spalle per poi scendere gli altri gradini. Annuisco, stringendo il corrimano mentre lo osservo aprire il portone.

Indossa la sua immancabile giacca di pelle nera, i jeans azzurri e una maglietta scura in tono con i suoi capelli. Sembra essere diventato ancora più muscoloso rispetto a prima, ci sto facendo caso solo ora. Ci scambiamo un breve sguardo prima che lui chiuda il portone e in seguito prendo un respiro profondo, guardandomi intorno per la casa silenziosa e solitaria. Nei minuti successivi mi guardo un film alla televisione, ma sono ancora con la testa da un'altra parte. Mi domando come stia Scott, se sia ancora arrabbiato con me per come ho interrotto la nostra frequentazione o se sia andato avanti. L'attrazione nei suoi confronti c'è sempre stata, ma era solo fisica e non si evolveva sul piano sentimentale. Se dovessi definire il mio rapporto con Scott lo descriverei sicuramente sano, semplice e tenero. Se invece dovessi tirare in ballo quello che ho con Beltran direi l'opposto: con quest'ultimo ci sono solo conflitti, punti di domanda e sentimenti che crescono in modo malsano. Scuoto il capo, tentando di scacciare dalla mente gli errori che ha commesso Beltran e i suoi crimini.

Non posso fingere che lui non sia un mostro.

Purtroppo lo è.

E io ne sono irrimediabilmente attratta.

Il Male In TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora