18

2K 67 10
                                    

Jackie

Sono ormai passate due settimane da quando lavoro al penitenziario. Sono riuscita a instaurare dei rapporti solidi con alcuni detenuti, con altri ancora faccio fatica a dialogare. L'orgoglio è una brutta bestia, e sembra che ai detenuti piaccia accarezzarla. Scuoto il capo, prendendo uno yogurt dal frigo per poi cercare un cucchiaio da poter usare. Stamattina il turno inizia alle nove, perciò ho più tempo da dedicare a me stessa. Mi mordo il labbro inferiore, immergendo il cucchiaio dentro il barattolino. Indosso ancora l'accappatoio ma almeno sono riuscita ad asciugarmi i capelli e a stirarli. Nei minuti seguenti faccio una breve colazione, poi vado in bagno per lavarmi i denti e truccarmi. Applico l'eye-liner sulle palpebre e anche un rossetto nude sulle labbra, in seguito vado in camera a cambiarmi. Dovrei cambiare le lenzuola del letto, ma per ora non ne ho voglia. Entro nella cabina armadio, tirando fuori un tubino nero attillato e con trasparenze lungo i fianchi. Infilo i tacchi a spillo, dandomi un'ultima occhiata allo specchio. Oggi mi sento decisa, sexy e invincibile con questo outfit. Prendo la tracolla, le chiavi e infine mi dirigo verso il portone dell'appartamento. Quando arrivo al penitenziario, Megan apre il cancello. Cammino fino al portone, sorridendole quando la vedo correre dietro il bancone. Mi chiede se voglio una ciambella ma io scuoto il capo, dicendole che ho già fatto colazione. «Buona giornata allora» si fa sentire, mentre salgo le scale. «Anche a te» le auguro con un sorriso.

Verso le undici e mezza mi dirigo dal direttore per parlargli di una nuova attività che potrebbe far bene ai detenuti. Assottiglia gli occhi, tamburellando le dita sulla sua scrivania. «No» sancisce, irremovibile.

«Perché no?» sbuffo.

«Perché sono uomini privi di controllo, potrebbero scannarsi a vicenda persino per un "ciao" detto male.»

«Un'attività extra potrebbe farli sentire meno detenuti e più uomini. La deve smettere di trattarli come animali, perché non lo sono: a furia di insultarli sta facendo credere anche a loro di essere delle bestie.» Il direttore mi fulmina con le sue iridi verdognole, scuotendo il capo. «Quando la smetterà di ficcare il naso dove non dovrebbe?» domanda. Quest'uomo è impossibile, non si può minimamente conversare con lui. «Sto facendo il mio lavoro» gli ricordo. «No, lei continua a chiedere e a pretendere senza contare il fatto che dentro questo penitenziario sono io a comandare, a dettare legge.» In questo momento, la sua voce mi sembra tanto lo stridulo fastidioso di una mosca. A un tratto bussano alla sua porta, qualcuno ci interrompe e presto scopro che è Megan. «Scusi non vorrei interromperla ma ha una chiamata da parte del dipartimento di polizia» dice con voce timida.

«Vengo subito Megan» annuisce il direttore, alzandosi. Quest'ultimo lancia una breve occhiataccia a me, per poi fare il giro della scrivania e uscire fuori dal suo ufficio. L'idea dell'attività musicale è ottima, ma quell'uomo è così ottuso da ignorare tutte le mie idee. Mi alzo dalla poltrona per andarmene, quando a un tratto mi torna in mente la mia prima litigata con il direttore.

Aveva aperto il primo cassetto alla sua destra per potermi dare la chiave della cella d'isolamento. Scommetto che ha anche un doppione nascosto da qualche parte. Mi mordo il labbro inferiore guardando la porta più volte per poi fare il giro della scrivania. frugo nel primo cassetto, ma non trovo niente. Provo anche nel secondo ma è chiuso a chiave. «Maledizione» sbuffo a bassa voce.

Dove potrebbe averle nascoste?

Mi dirigo verso la libreria di lato alla finestra, inizio a spostare dei libri ma non trovo quello che speravo. A un certo punto sento qualcuno schiarirsi la voce. Compio un passo indietro, perdendo un battito. Giro il capo, sospirando di sollievo appena mi accorgo che è Rachel. «Hai proprio qualche rotella fuori posto tu» conviene, restandosene appoggiata alla porta. Mi dirigo verso di lei, spostandomi una ciocca dietro l'orecchio. «Nolan mi ha preso le chiavi della cella di Beltran, non lo vedo da quando l'avete sedato e...» chiudo gli occhi. «Devo capire come sta.» Rachel sembra sconfitta, quasi stanca dei miei sabotaggi. Mi fa segno di uscire in corridoio, quindi la seguo e chiudo la porta dell'ufficio del direttore dietro le mie spalle. «Ogni agente ha un mazzo di chiavi, potrei darti la chiave della cella d'isolamento ma, a patto che tu mi chieda sempre il permesso prima di scendere nei sotterranei.» Sorrido, abbracciandola di slancio mentre lei mi dà delle pacche sulla schiena. «Grazie, sei un angelo.» Mi fa segno di smetterla con la mano e mi porge la chiave giusta, quella più grande. Le lascio un bacio sulla guancia, dirigendomi verso il portone che conduce ai sotterranei. «Vengo con te, per sicurezza» dice arrestando i miei passi.

Annuisco, per poi tirare il portone e scendere gli scalini. Dopo aver superato tutte le celle sotto gli schiamazzi dei detenuti, finalmente svolto l'angolo e aumento il passo verso la cella di Beltran. Infilo le chiavi nella serratura, sentendo Rachel richiamare alcuni detenuti che fanno chiasso. Partono i primi due scatti e poi abbasso la maniglia, sporgendo il capo per vedere se sia in piedi. Corrugo la fronte, perché non lo trovo né sul letto e né sulla sedia posta al centro. La maschera è ancora a terra, non credo l'abbia raccolta. Compio un passo avanti, richiamandolo: «Beltran». Non capisco, l'hanno forse spostato di cella? Proprio mentre lo penso, a un tratto sento un respiro caldo sul mio collo. Sento il suo odore mascolino entrarmi nelle narici. Socchiudo le palpebre, percependolo dietro la mia schiena. «Beltran» mormoro, voltandomi in sua direzione. Lo guardo in viso e, apparentemente mi sembra sempre lui. Tuttavia, noto qualcosa di diverso: gli occhi azzurri sono limpidi ma feroci. È come se mi stesse analizzando, come se volesse imprimersi ogni mio piccolo dettaglio nella sua mente. «Stai bene?» domando preoccupata. Poggio la mano sul suo petto, ma con riluttanza. Non dovrei toccarlo, eppure non riesco a farne a meno adesso. Il suo naso sfiora la mia mandibola, l'accarezza e poi cala lentamente verso il mio collo. «Mai stato meglio» sussurra con tono suadente. Un brivido mi fa tremare le gambe, ma lo scaccio via con impazienza. Lo guardo fisso negli occhi, sforzandomi di non puntare le mie iridi sulle sue labbra. «Perché l'hai fatto?» domando, riferendomi alla guardia che ha attaccato.

Il suo pollice cala sul mio labbro inferiore, schiacciandolo con violenza. «Perché lo volevo» afferma con crudeltà, guardandomi le labbra per poi mordersi le sue. Scuoto il capo, sentendo un magone al petto. Sono in continuo bilico tra il bene e il male, tra lo scappare o il restare. Lo desidero e questo mi terrorizza perché lui non è quello che cercavo, non è quello che volevo. Mi sento una stupida, perché so che potrei commettere scemenze per un assassino del genere. «Non ti sei stancata di lottare, Jackie?» domanda, abbassandosi al mio orecchio.

Beltran non mi dà mai del tu, ma del lei.

Assottiglio gli occhi, guardandolo con circospezione. «Mi hai chiamata per nome» lo guardo attentamente, mentre lui annuisce fissandomi da capo a piedi. Le sue labbra si curvano in un sorriso sinistro, lo stesso di cui mi aveva parlato Beltran e ben presto compio un passo indietro spaventata. Deglutisco, mentre lui assottiglia gli occhi divertito. «Tu non sei Beltran» scuoto il capo, realizzando solo ora chi ho davanti.

«Non ci hai messo molto per capirlo» sostiene.

«Sei l'altro, non è vero?» mi trema il labbro.

Inclina il viso di lato, decidendo di fare un passo avanti. «Non ci siamo presentati a dovere» parla, compiendo un altro passo. «Sono Brett – l'altra metà di Beltran» conferma la mia ipotesi, mostrandosi fiero di chi è. Brett mi arriva a un soffio dal viso, sorridendo con sadismo. «Sembri spaventata» asserisce, accarezzandomi le labbra con il pollice. «Dimmi, hai paura di me dolcezza?» chiede. Le gambe tremano, il cuore batte a mille ma contro mia ogni previsione, dico la verità: «No».

Il Male In TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora