Jackie
Il mutismo tra me e Beltran prosegue da due giorni.
Nessuno dei due fa il primo passo, oltre che a un semplice ciao non riusciamo a dirci altro e questo è esasperante. Adesso me ne sto seduta sul divano del salotto a leggere un libro, sono sola in casa e a breve dovrebbe rientrare. Non appena volto pagina, il portone dell'ingresso sbatte e io ho giusto il tempo di girare il capo che lo sento dirigersi in camera sua a passo di mercenario. Chiudo il libro, decidendo di seguirlo in camera per parlargli. Appena spingo la porta semi-chiusa, lo trovo intento a togliersi la maglietta ed è girato di spalle vicino al comodino. «Dobbiamo parlare» mi schiarisco il tono, stringendo la maniglia tra le dita.
«Non abbiamo nulla di cui discutere» afferma.
Nemmeno mi guarda, iniziamo male.
«Vuoi far finta che non sia successo niente?» esordisco.
Mi getta una breve occhiata dall'alto al basso, scuotendo il capo. «Semplicemente, credo che la conversazione sia chiusa» dice, mostrandomi i suoi pettorali ben definiti e i suoi addominali allenati. Mi si secca per un attimo la bocca alla vista del suo corpo, ma presto mi riprendo e torno all'attacco.
«Non mi parli da due giorni Beltran, non sei mai a casa e, se ci sei, mi ignori rinchiudendoti in camera tua» accuso.
«Non credo di dover più perdere fiato» si spiega, arreso.
Gli chiedo cosa stia cercando di dirmi e lui scuote il capo, leccandosi il labbro inferiore. «Hai già detto tutto.»
Mi guarda in viso, mantenendo un'espressione seria ma abbattuta. «Non ho intenzione di supplicarti a vita, se vuoi restare al mio fianco ci resti ma senza condannarmi. Sai chi sono, quello che faccio con queste mani» le alza perché io le veda chiaramente. «Hai lasciato Jacksonville ma non sai neanche perché lo hai fatto, hai deciso di mettere in pausa la tua carriera per fare chiarezza dentro te stessa e, ora che sei qui, non fai altro che fare enormi giri di parole.»
E ritorniamo sempre punto e a capo.
Mi passo una mano tra i capelli, scuotendo il capo. «Pensi che sia superficiale forse?» domando scontrosa. «Secondo te parto con il primo uomo che mi capita Beltran?» sbotto, compiendo un passo in avanti.
«Non lo so» mi guarda in viso, sfrontato.
«Non lo sai...» faccio eco, con occhi spiritati.
Alla fine dei conti è sempre lo stesso il problema: Beltran mi accusa di fare giri di parole, di essere poco chiara e di non esprimermi abbastanza ma non mi sembra che lui sia così espansivo. «Lascia che ti faccia un piccolo riassunto, visto che d'improvviso non mi sembri così tanto sicuro» sorrido nervosamente. «Ho evitato di denunciarti alla polizia più di una volta, ho mentito alla mia famiglia per proteggere sia te che loro e ho persino lasciato un ragazzo fantastico come Scott pur di non perderti» elenco mentre lui inspira più velocemente con le narici dilatate a ogni mio passo. «Ho lasciato momentaneamente Jacksonville per seguirti fino a Chicago e, nonostante tutte le mie dimostrazioni, tu continui a non essere ancora soddisfatto di niente» scuoto il capo, più furiosa che mai. «Agogni sempre di più, non sei mai sazio» sbotto.
«Esatto, non lo sono» scuote il capo, compiendo un passo in avanti e poi un altro ancora finché non me lo ritrovo a un soffio dal viso. Siamo così arrabbiati l'uno con l'altra che in questo momento non so proprio come potremmo far finta di niente domani o dopodomani.
«Non avevo dubbi» rido per finta.
«Perché sei qui?» cambia discorso, ammiccando.
«Te l'ho detto!» esclamo esasperata.
«No, hai solo raccontato puttanate» sbotta acido, facendomi raggiungere il picco massimo della pressione.
«Sono qui perché provo qualcosa per te!» quasi lo urlo.
Finalmente riesco a zittirlo.
Le sue iridi si illuminano d'improvviso, si lecca il labbro inferiore mentre io respiro pesantemente. Spero che adesso la mia risposta lo accontenti, maledizione. Il mio nervosismo sembra attenuarsi alla vista del suo sorriso spontaneo, infatti tento di non cedere. «Smettila» lo ammonisco, deviando lo sguardo. «Dillo di nuovo» ostenta, compiendo un passo in avanti. Deglutisco, ingoiando un forte boccone amaro mentre ritorno a guardarlo. «Sono qui perché provo qualcosa per te» mormoro, sentendo l'imbarazzo ingigantirsi sempre di più. Non credo di avergli detto nulla di nuovo, ha sempre saputo che io provassi una forte attrazione nei suoi confronti, eppure sembra davvero soddisfatto dalla mia confessione. Scuoto il capo, mentre Beltran poggia le dita sui miei fianchi per tenermi ancorata a lui. Siamo a un soffio, i nostri nasi si sfiorano ma perché è lui a volerlo. «Ci tenevi così tanto a sentirtelo dire?» domando, alzando il capo verso il suo.
Annuisce, i suoi occhi color ghiaccio mi trasmettono serenità e io non credo di averlo mai visto così in pace con sé stesso finora. Avvolge le braccia muscolose dietro la mia schiena, non passa neanche un filo d'aria tra di noi e sono costretta a poggiare i palmi sul suo petto per mantenere un pochino di distanza. «Sono ancora arrabbiata con te» lo informo, poiché mi sembra molto reattivo. È evidente che sia in cerca di contatto fisico per ulteriori risposte, ma non ci sono le basi per poter andare oltre adesso. «Nulla di nuovo» risponde con tono sfacciato, strofinando la punta del naso contro il mio. Inspiro, sentendo il cuore battere veloce. Ammetto che è dura stare immobile di fronte ai suoi assalti: le dita di Beltran vanno su e giù sulla mia schiena, hanno oltrepassato la mia maglietta. Il suo naso sfiora il mio continuamente e le sue labbra mi tentano, mi urlano di toccarle. Mi mordo il labbro inferiore, socchiudendo gli occhi non appena avvicina la bocca al mio orecchio. «Spogliati» sussurra con un tono roco, caldo. Deglutisco, scuotendo il capo con un sorriso divertito. «No» nego con il capo, mentre lui assottiglia gli occhi con aria studiosa. «Dobbiamo fare le cose con calma» mi spiego meglio. Alza un sopracciglio, ma non mi crede e infatti mi spinge contro la porta della camera da letto. Una sua gamba finisce in mezzo alle mie e le sue labbra baciano, divorano la pelle del mio collo. Senza che se ne accorga, sfioro la maniglia della porta e l'abbasso di colpo. In poco tempo, riesco a fuggire nel corridoio sotto la sua occhiataccia fintamente offesa. Mi chiudo in camera, i miei occhi vengono calamitati dal mio riflesso allo specchio.
Sulle mie labbra è spuntato un sorriso che sa di felicità. Scuoto il capo, passandomi una mano tra i capelli sciolti. È assurdo, nonostante mi faccia arrabbiare, poi piangere e poi impazzire quell'uomo è l'unico in grado di farmi reagire in questo modo. Mi siedo sul letto, gettando un'occhiata al mio telefono sul comodino. Compongo il numero di mia madre, sento il bisogno di sentire la sua voce. «Ehi, mamma» rispondo, quando avvia la chiamata. «No, ritenta» riconosco la voce di mio padre, trovo persino strano che abbia riposto lui. Non è un tipo social, pro-tecnologia quindi mi stupisce sentirlo al telefono. «Ehi, hai deciso di fare un passo verso il nuovo mondo?» chiedo. «L'unico modo per sentirti è attraverso il telefono, sei andata via senza salutare» sospira, facendomi sentire in colpa. «Lo so, mi dispiace ma stavo vivendo un periodo particolare e ho agito senza pensare» arrossisco. Mentre chiacchiero con mio padre vedo l'ombra di Beltran dietro la porta, credo stia origliando la nostra conversazione. Resta pochi secondi, dopo sento i suoi passi sulle scale. Non mi dà fastidio che ascolti, avrebbe anche potuto aprire la porta e io avrei continuato a parlare con mio padre senza problemi.
«Come ti sembra Chicago?» chiede papà.
«Fresca, piena di gente e anche di chioschetti» elenco. Mio padre mi chiede di prendergli qualche souvenir, mentre io mi do una mano in fronte per la mia sbadataggine. Ho pensato a tutto, tranne che a comprare loro qualcosa. Avrò sicuramente modo di accontentarli, dunque lo rassereno e riprendo la nostra conversazione familiare.

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Il Male In Te
Literatura FemininaIl penitenziario di Jacksonville appariva come un luogo austero, privo di vita. Dietro quelle sbarre di metallo si nascondevano uomini pericolosi, viziosi e condannati. Il direttore, ormai esausto e pronto alla pensione, cercava disperatamente una n...