Jackie
Mancava così poco e ci saremmo baciati.
Inizio a pensare che qualcuno complotti contro di me o qualcosa del genere. Sospiro, bevendo un sorso del caffè dalla tazza. Stamattina andrò al lavoro un pochino più tardi del solito, ci saranno le visite da parte dei familiari e quindi mi presenterò al penitenziario per le nove e un quarto. Ho già avuto modo di pulire casa, farmi una doccia e anche fare colazione. Adesso è tempo di andare a lavarmi i denti e di rendermi presentabile. Davanti allo specchio del bagno mi passo l'eye-liner sulle palpebre e il rossetto nude sulle labbra. I capelli sono perfettamente arricciati, calati sulle spalle. Torno in camera per vestirmi, tirando fuori dalla cabina armadio un jeans a zampa di elefante e una camicia a quadretti bianchi e verdi, legata sui fianchi da un fiocco enorme. Adesso le temperature iniziano ad abbassarsi, perciò addio abiti estivi. Infilo i sandali dal tacco trasparente e poi prendo la tracolla, finendo il look della giornata. Quando arrivo al penitenziario saluto Simonette e in seguito mi dirigo in ufficio, oggi avrò l'incontro con Lucian, Costa e Demillon. Passo la mattinata con i detenuti, come al solito qualcuno collabora più dell'altro. «Non andiamo da nessuna parte così, Costa» lo avviso, irritata e con il ventaglio in mano.
«Non è mica mia madre, non faccio quello che dice.»
«I miei non sono ordini, ma consigli» preciso.
«Classica frase da strizzacervelli, lei mi scambia per un pazzo» mi lancia un'occhiataccia.
«Non ti ho mai detto di esserlo» scuoto il capo.
«Ma me lo fa capire più che bene: il suo tono di voce, le sue espressioni mi fanno sentire come un giocattolo rotto. Ho commesso dei crimini, ma non sono spezzato» chiarisce acidamente. Alzo gli occhi al cielo, non riuscendo a trovare un punto d'incontro con questo ragazzo. «Sai cosa mi fai capire in questo modo? Che non sei affatto aperto a un dialogo perché non vuoi sentirti dire la verità. Ho studiato, mi sono laureata e sono abbastanza sicura che tu stia solo tentando di proteggerti. Temi che io scopra che in fondo, oltre al criminale, ci sia dell'altro» esordisco. Assottiglia gli occhi, sfidandomi a continuare a parlare. «Non. Mi. Conosce» marca ogni parola. Scuoto il capo, ormai esausta da questa tiritera. Nito bussa alla porta, di lato a lui c'è anche Scott ed entrambi mi chiedono se va tutto bene appena sporgono la testa. «Visto che non vuoi collaborare, allora puoi ritornartene in cella» affermo, al limite della pazienza. Non fa altro che trattarmi con sufficienza da quando sono arrivata qui, cerco di dargli una mano ma si rifiuta categoricamente e, come direbbe mia madre, un adolescente ha bisogno di sbattere la testa contro il muro prima di capire il male che si fa.
Quindi che sbatta la testa.
Nito e Scott lo accompagnano fuori dal mio ufficio e io intanto mi appunto mentalmente cosa scrivere nel resoconto di Costa. La giornata passa in fretta, pranzo con Simonette, Nito, Scott e Rachel in una tavola calda e mi sento a mio agio con loro. Fanno battute sulla "nuova coppia formata", mettendo in imbarazzo sia me che Scott.
«Stiamo andando cauti» gesticolo, divertita.
«Certo come no, siete sempre insieme» dice Rachel.
«D'accordo, vado a pagare» si alza Scott, mentre Nito lo accompagna ormai al limite delle chiacchiere della sua collega. «Non ama parlare della sua vita privata vero?» chiede quest'ultima. Nego con il capo e Simonette le ricorda che non tutti sono estroversi. «Siete andati a letto?» chiede, mangiandosi una patatina fritta.
«Oddio, no. Ci conosciamo da pochissimo» nego.
«Al giorno d'oggi non conta più il tempo» fa una smorfia.
«No, abbiamo litigato nei giorni scorsi quindi siamo in una fase di riappacificazione» spiego, mescolando la Coca-Cola con la cannuccia. Rachel mi fa parecchie domande, ma tento di rispondere a poche di esse perché alcune sono troppo private e intime... Quando ritorniamo al penitenziario la maggior parte degli agenti sono impegnati nella sorveglianza, quindi resto in ufficio da sola. Mia madre mi invita a cena e io le invio il pollice in su per confermare di esserci. Scott staserà sarà impegnato pure da quel che so, andrà a una partita di basket con Nito: quei due escono pazzi per gli Orlando. A fine turno esco dal penitenziario, salutando con un bacio volante Simonette. «Ehi, non mi saluti?» sento la voce di Scott mentre scendo i gradini. Mi giro, trovandolo sotto l'arco del portone con un broncio pigro. Sorrido, salendo il gradino per poi lasciargli un bacio molto vicino alle labbra. Gli accarezzo con le unghie il retro del collo e lui mugugna in apprezzamento, scurendo le sue iridi. «Dovresti farlo più spesso, è eccitante» asserisce e io ridacchio.
«Divertiti stasera» dico, pronta per dargli le spalle.
«Anche tu, a domani» mi dice, togliendo la mano dalla mia schiena. Dopo esserci salutati altre due volte, attraverso la strada e tiro fuori dalla tracolla le chiavi della Mini Cooper. Guido tra le strade di Jacksonville, decisa ad andare prima in appartamento e poi dai miei. Preparerò un cambio e resterò a dormire da loro, stavolta. I lampioni nel viale di casa mia sono ancora accesi, qualcuno è in giro a passeggiare il cane mentre passo con la macchina. Lascio l'auto in uno dei posti riservati, tiro il freno e poi tolgo le chiavi. Metto un piede sull'asfalto e dopo chiudo lo sportello, accorgendomi distrattamente di una presenza appoggiata al cancello del mio palazzo.
Beltran.
I suoi occhi ghiaccio mi scrutano in silenzio, ha le braccia incrociate e la giacca di pelle si tende al movimento. Jeans azzurri, cintura nera e maglietta dello stesso colore. I capelli castani con riflessi ramati sono sparati indietro, ma non credo abbia messo del gel: è solo il taglio naturale. Odio ammetterlo, anche solo pensarlo, ma è davvero bellissimo. «Cosa ci fai qui?» domando, richiudendo lo sportello. Ha un'espressione apatica sul viso, quasi monotona. «Sono venuto a salutarti» mi avvisa. «Un'ultima volta» aggiunge, lasciandomi ammutolita.
Se ne va?
Insomma, non credevo fosse serio la volta scorsa...
«Domani sera partirò per Chicago, starò via per un po'» mi informa mentre io stringo la tracolla sulla spalla, tentando di appigliarmi a essa. Sento il cuore sgretolarsi lentamente, il fiato manca e non so proprio come agire.
«Non so cosa dire...» soffio, confusa.
Si morde il labbro inferiore, staccandosi dal cancello per poi raggiungermi. Compie dei passi in mia direzione, fermandosi a un soffio dal mio viso. Stavolta, sento che non ha la sua solita carica mentre mi guarda, come se ormai si fosse arreso e fosse venuto qui solo per salutarmi. Gli scappa un sorrisetto di cortesia, ma presto lo spazza via e si guarda intorno. «Ho bisogno di cambiare aria, di sparire per un po' di tempo e credo che Chicago faccia al caso mio» specifica, riferendosi sicuramente ai suoi passatempi orribili. Chicago è grande, piena di gente e di sicuro affollata, perfetta per ogni tipo di crimine.
«Non cambierai mai vero?» scuoto il capo, affranta.
Curva il labbro inferiore, simulando un sorrisetto compiaciuto. «Se cambiassi, non ti piacerei più o sbaglio?» suppone, mentre io scuoto il capo esasperata. Temo che purtroppo mi mancherà da morire, anche la sua bocca larga. Ci prendiamo qualche momento per guardarci in volto, i miei occhi sicuramente parlano e gli chiedono in silenzio di non andarsene e lasciarmi qui. Siamo troppo diversi, non potrebbe funzionare mai e poi mai.
Siamo come Hannibal e Clarice, impossibili insieme.
«Passa una buona vita, mia dolce dottoressa» sottolinea, mentre mi regala un ultimo sguardo. Mi supera con un sorrisetto d'addio, neanche mi sfiora la spalla e già mi manca. Mi mordo il labbro inferiore, sentendo un magone nel petto non indifferente.
È la scelta giusta, mi ripeto.
Eppure, il mio cuore lacrima lacerato.
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Il Male In Te
ChickLitIl penitenziario di Jacksonville appariva come un luogo austero, privo di vita. Dietro quelle sbarre di metallo si nascondevano uomini pericolosi, viziosi e condannati. Il direttore, ormai esausto e pronto alla pensione, cercava disperatamente una n...