Jackie
Mio fratello arriva proprio quando stiamo uscendo dalla fabbrica, ha un tempismo perfetto. Sierra protesta, tenta di ribellarsi e io mi volto in sua direzione mentre lei mi minaccia con le sue iridi verdognole ereditate da nostra madre. «Smettila, non fai altro che mettermi in cattiva luce!» sbotta, staccando il polso con rabbia mentre Glenn scende dalla sua Jeep nera. «Sei venuta fino a qui per screditarmi per caso?» dà sfogo a tutta la sua rabbia, spostandosi i capelli biondi dietro la schiena.
«Non parlarle così» l'ammonisce Glenn.
«Oh certo, dovevo aspettarmelo: tu prendi sempre le sue difese non è vero?» mi indica, piuttosto scazzata. Alzo una mano a mio fratello, facendogli segno di lasciarla continuare. «Avevo tutto sotto controllo prima che arrivaste voi. Adesso, agli occhi di Chase, sembrerò solo una mocciosa senza un briciolo di cervello che deve essere tenuta d'occhio dai suoi fratelli» alza il tono.
«Tu sei senza un briciolo di cervello» sbotto.
Schiude le labbra sconvolta.
Mi chino sulle ginocchia, guardandola meglio in viso. «Sai perché lo sei? Perché non fai altro che tentare di apparire più grande di quello che sei. Venire a una festa per adulti non ti renderà mai tale, chiaro? Adesso sei appena stata con un ragazzo maggiorenne che, molto probabilmente, non vedrai neanche più» sbuffo. Incrocia le braccia al petto, inclinando il viso di lato con sguardo maligno. «Parli proprio tu?» alza un sopracciglio.
«Dateci un taglio, entrambe» intima Glenn.
«No che non ci do un taglio: pensa di venirmi a fare la predica quando lei era molto peggio di me al liceo. Credi che non sappia delle gatte da pelare che hai dato a papà? Di quella volta che sei tornata a casa con gli occhi rossi oppure di quell'altra in cui ti sei presentata con un test di gravidanza positivo in cucina» elenca. Assottiglio gli occhi, sentendo una rabbia improvvisa salirmi su per la gola. «Se non mi sbaglio e, non mi sbaglio, ti sei fatta il ragazzo della tua migliore amica all'epoca» sputa fuori, arrivandomi a un soffio dal viso. «Dalle mie parti si chiamano puttane quelle come te» scandisce bene. Automaticamente, la mano destra si schianta sul suo viso.
Adesso mi sono proprio stancata.
Glenn ci divide, mentre io non mi pento affatto di averle alzato mani. Gliene hanno date anche poche per quel che mi riguarda. È vero, ho commesso tanti errori e mi sono pentita di tutti quanti. Avrei tenuto quel bambino, se soltanto non lo avessi perso a causa di Jesse. L'aborto spontaneo che me l'ha portato via non era poi tanto naturale. Il ragazzo della mia migliore amica non voleva un figlio, non voleva un "terzo incomodo" e ha fatto in modo di rimuovere il problema. Jesse era tossico, problematico e io ero così accecata dai miei sentimenti da ignorare la realtà. Appena scoprì che il mio incidente sulle scale era stato causato da alcuni suoi conoscenti – sotto sua richiesta – lo lasciai senza neanche pensarci un secondo e ignorai tutte le sue scuse disperate.
«Stammi alla larga d'ora in poi!» mi urla contro Sierra.
Compio un passo indietro, poi un altro. «Ma certo.»
Apro lo sportello e intanto mi volto in sua direzione. «Ma prima voglio dirti una cosa» mi lecco il labbro inferiore ormai secco. «Ho fatto molti errori, ma mi pento di ciascuno di essi. Magari è vero, sono stata una poco di buono per essere stata con il ragazzo della mia migliore amica ma tu non eri lì, non sai quello che ho vissuto o quello che ho provato. Al contrario tuo, mia cara Sierra, so quando sbaglio e so compiere un passo indietro. Non sbatto contro il muro nonostante qualcuno mi urli dietro che mi farò male!» alzo il tono. «Quindi sai che c'è? Va', continua a uscire con quel Chase perché tanto non durerà molto» faccio spallucce, salendo in auto sotto la sua occhiataccia. Glenn la sospinge verso la Jeep, mentre io metto in moto la mia auto e faccio retromarcia.
Durante il viaggio di ritorno mi sento uno schifo.
Sierra è venuta su viziata e anche bugiarda a dirla tutta. I miei genitori ripongono tanta fiducia in lei, cosa che in me non riponevano. So quanto fossi scapestrata all'epoca, ma al contrario di Sierra sapevo chiedere scusa e soprattutto ammettere le mie colpe. La storia con Jesse? Sì, è stata passionale e focosa ma un terribile errore perché in fondo non era amore ma possessione. Sono tornata a casa strafatta una sera, ma solo perché qualche idiota mi aveva messo una pasticca nel bicchiere. La gravidanza non era nei miei piani, ma avrei voluto portarla a termine se soltanto quel bastardo non avesse rovinato tutto. Una lacrima solitaria cola giù dal mio occhio sinistro, la spingo via e tiro su con il naso, fermandomi a un semaforo. «Quanto cazzo sono stata stupida» rammento a me stessa.
E pensare che avevo scelto dei nomi.
Era ancora troppo presto, ma io già viaggiavo con la fantasia. Scuoto il capo, ripartendo appena scatta il semaforo verde. Il viaggio in auto è lungo, ma appena vedo il vialetto del mio palazzo a tre piani mi rilasso. Vivo in quartiere residenziale, a pochi passi ho la metro e due supermercati oltre che un parco e una tavola calda. Supero delle case indipendenti singole e poi parcheggio l'auto in uno degli spazi tratteggiati di giallo di lato al cancello – visto che sono riservati a noi del palazzo. Scendo dall'auto, faccio scattare la serratura e poi salgo sul marciapiede. Prendo le altre chiavi per metterle nella serratura del cancello. Dopo lo richiudo, facendo un altro scatto e mi dirigo verso l'ingresso salendo i gradini. Vivo al terzo piano di un palazzo rustico, ciò comporta un ascensore all'interno dell'edificio oltre che un meraviglioso giardino con tanto di aiuole curate. Una volta arrivata al terzo piano inserisco l'ennesima chiave e poi mi richiudo il portone alle spalle. Prendo un profondo respiro, togliendomi i tacchi a spillo per poi camminare scalza sul parquet. Appena si entra, alla mia sinistra c'è un mobile con uno specchio rettangolare appeso al muro. A destra c'è un arco quadrato che conduce al salotto spazioso – al suo interno c'è un enorme divano a L nero con diversi cuscini, un tavolino basso e un mobile in tono con la TV incorporata. Lascio le chiavi sul piattino del mobiletto, dirigendomi verso la cucina che è dietro l'angolo. Tiro le porte scorrevoli, entrando nel mio regno con tanto di mobili di legno e piano di marmo nero. Stasera potrei benissimo cucinarmi qualcosa, ora che ci rifletto. Magari delle verdure ripiene faranno al caso mio.
Siccome devo ancora lavarmi, preferisco pensare dopo alla cena. Non solo il salotto è stato collocato a destra dell'ingresso, ma anche il corridoio che porta al bagno e alla camera da letto è sullo stesso lato. Inoltre c'è anche uno sgabuzzino affianco al bagno: lo uso più come scarpiera. Questo appartamento mi piace, è confortevole e spazioso – inoltre è stato arredato secondo i miei gusti. Sulle mura ho appeso diversi quadri raffiguranti dei girasoli, ne ho almeno cinque sparsi in giro. Ho anche una fissazione per i bonsai colorati, ne ho alcuni posizionati in cucina e nel salotto. Sono una padrona di casa eccellente, niente è mai fuori posto nel mio appartamento. Una vocina interiore mi ricorda che devo pagare il mutuo a fine mese, perciò arriccio le labbra e mi spoglio dei vestiti. Entro nella vasca ovale, incastonata nel pavimento e poi mi faccio un bel bagno rilassante. Tutto lo stress ricevuto oggi mi ha lasciato un bel regalino: il mal di testa. Dopo essermi insaponata il corpo e messa lo shampoo due volte, mi sciacquo ed esco dalla vasca, prendendo l'accappatoio dall'appendi abiti al muro. Nelle ore seguenti mi dedico a me stessa: cerette, oli e creme mi rendono più rilassata. Entro in camera mia, gettandomi sul letto dalle lenzuola senape. Il telefono segna una chiamata persa da parte di mio fratello, ma per adesso preferisco ignorarlo. Non mi va di parlare di ciò che è accaduto pomeriggio con quella stupida di Sierra: ho solo voglia di farmi scivolare tutto addosso. Mi passo una mano in viso, chiudendo gli occhi per poi strofinare la guancia ancora umida sul cuscino. Senza neanche rendermene conto, finisco per addormentarmi sul letto in pochi minuti.
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Il Male In Te
ChickLitIl penitenziario di Jacksonville appariva come un luogo austero, privo di vita. Dietro quelle sbarre di metallo si nascondevano uomini pericolosi, viziosi e condannati. Il direttore, ormai esausto e pronto alla pensione, cercava disperatamente una n...