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Jackie

Ho sempre odiato la notte di Halloween.

Non so, forse perché mia madre mi costringeva a uscire per fare dolcetto o scherzetto vestito da scheletro. Cazzo, quel costume era così fastidioso, mi provocava prurito su tutto il corpo. E non importava quanto mi lamentassi, dovevo comunque sorbirmi due ore di suoni al campanello e finti sorrisi dei vicini. Crescendo, per fortuna, iniziai ad avere più potere decisionale e la rimisi al suo posto. Scuoto il capo, sbadigliando per poi gettare un'occhiata alla finestra dell'ufficio che condivido con gli altri agenti. Rachel, Nito e Boone sono andati a effettuare delle pattuglie in giro per la cittadina, sono stati richiamati dalla centrale per fare degli straordinari mentre io me ne resto seduto sulla sedia girevole come un perfetto avvocato fallito. Smetto di compatirmi, alzandomi dalla sedia per poi fare il giro della scrivania. Alcune guardie sono fuori dal penitenziario a sorvegliare i cancelli, dentro siamo rimasti in pochi. Guardo l'orario appeso al muro, sono le undici e mezza: è ormai ora del mio terzo giro di sorveglianza. Esco dall'ufficio, chiudendo la porta per poi percorrere il corridoio. A quest'ora se ne è andata sia Megan che Jackie. Non sono riuscito a farmi perdonare, non importa quante volte le dica che è per il suo bene lei continua comunque a non parlarmi o a lanciarmi occhiatine sospettose. Fin dal primo istante che l'ho vista, ho subito provato una forte attrazione per Jackie.

Bellissima, elegante e sensuale da far girare la testa.

Non sono nato ieri però, so che quella donna non mi guarda come vorrei. Mi reputa un amico, forse neanche più come tale. L'amore non corrisposto fa schifo, non che sia innamorato di lei ma provo un sentimento forte. Le porte scorrevoli del seminterrato si aprono, i detenuti dormono nelle loro celle e qualcuno di loro russa anche profondamente. Svolto l'angolo, alzando gli occhi verso la cella d'isolamento. Non fiata neanche una mosca, è strano sentire questo silenzio visto che di solito fanno casino. Compio dei passi verso la porta blindata, sentendo degli strani rumori provenire dall'interno, è come se qualcuno stesse scagliando una pietra o qualcosa del genere.

«Buscema» lo richiamo.

Non ottengo risposta, quindi lo richiamo ancora una volta. «Buscema, rispondi!» riprovo, per poi prendere la chiave della cella e metterla nella serratura. Faccio partire i due scatti, apro la porta quanto basta e sporgo il capo ma l'uomo non è sul letto come speravo, non è neanche sulla sedia di legno. Compio un passo in avanti, gettando un'occhiata alla tazza del cesso vuota. Sto per girare il capo a destra, quando a un tratto percepisco una folata di vento e, in uno scatto veloce, vengo tirato indietro con violenza. Beltran stringe la catena delle sue manette intorno al mio collo, piega i gomiti ai lati del mio viso e tira indietro. Tossisco, mi manca l'aria merda. Questo bastardo vuole uccidermi, getto un'occhiata poco lucida al sassolino a terra – probabilmente lo scaraventava a posta contro il muro, voleva attirarmi qui.

«Bu...scema» esalo, tossendo più forte.

Tento di gridare aiuto ma lui continua a stringere la presa, sempre più forte, trascinandomi indietro. «Aiuto...» ingoio la mia stessa saliva, mentre lui si spinge di schiena contro il muro per fare più pressione. Mi toglie il respiro, sento i miei occhi perdere contatto con la realtà e in poco tempo i miei battiti diminuiscono. Delle gocce di sangue colano sulla mia camicia, ma non so se siano le sue per via del graffio causato dalle manette o le mie per via della potenza con cui stringe la piccola catena intorno al mio collo.

«Bel...tran» socchiudo gli occhi, non sentendo più niente. Crollo a terra, ormai privo di forze e sempre più debole. I suoi occhi azzurri sembrano divertiti dal mio stato, inclina il viso di lato, abbassandosi per prendere le chiavi dal mio mazzo e togliersi le manette. Me le getta addosso con un movimento fluido, curvando le labbra in un ghigno. «Sbagliato» ride con crudeltà, chinandosi sulle ginocchia. «Abbi almeno la decenza di ricordare il nome di chi ti ha ucciso, Nolan» mi dà uno schiaffetto sul viso. Socchiudo gli occhi, ma presto lo osservo mentre punta lo stivale sul mio collo e spinge, spinge ancora finché non mi toglie anche l'ultimo respiro che mi rimane. L'ultima cosa che vedo sono gli occhi ghiaccio di un mostro, il suo sorriso compiaciuto e poi la sua totale mancanza di sensibilità mentre mi lascia morire dentro una cella che non mi è mai appartenuta.

Il Male In TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora