46

1.4K 44 1
                                    


Jackie

«Non credevo soffrissi di aerofobia.»

Sinceramente, non lo credevo neanche io fino a poche ore fa ‒ ma a quanto pare sto conoscendo dei nuovi aspetti del mio carattere. Scuoto il capo, prendendo un respiro profondo appena mettiamo piede sull'asfalto dell'aeroporto. Non ne potevo più di stare sospesa in aria, le turbolenze e quei continui oscillamenti mi hanno fatto venire la nausea. Beltran tira entrambe le nostre valigie fino al taxi, lo ringrazio e presto prendo posto sul sedile posteriore. Dopo aver dato l'indirizzo al tassista dalla camicia da boscaiolo e la barba lunga, finalmente mi concentro sul panorama di Chicago: vedo lampioni accesi ovunque, semafori e anche alberi curati posti negli angoli delle tavole calde o dei negozi. Non ho mai viaggiato prima, perciò mi sembra tutto magnifico e ogni minimo particolare è curioso ai miei occhi. «Sei già stato a Chicago?» domando a Beltran, guardando il finestrino.

«Sì, in passato» rivela.

Non so perché ma questo particolare mi sorprende.

Non ho idea di dove stiamo andando, ma da quanto ho capito deve aver acquistato una casa indipendente. Mi sento leggermente a disagio, so che è stato lui a chiedermi di seguirlo fin qui eppure mi sembra di essermi auto-invitata. Dopo alcuni minuti di traffico serale, alla fine il taxi si ferma in un viale poco affollato: ci saranno solo altre due case ma sono più lontane rispetto alla sua.

Scendo dal taxi, richiudo lo sportello e intanto Beltran paga il tassista. Mi guardo intorno per il viale, credo che questa sia una zona privata o qualcosa del genere. Scendo le nostre valigie e mi sorprende percepire quanto sia leggera quella di Beltran, ci avrà messo qualcosa no? Sbatto le palpebre quando sento il tassista salutarci con quel suo accento irlandese marcato. Mi sposto per permettergli di fare retromarcia e intanto Beltran ha preso i manici delle nostre valigie. Do un'occhiata alla casa in cui staremo e mi sorprende per la sua semplicità. Ci sono tre gradini di fronte al portico, un piccolo giardino dal prato curato e delle finestre in legno scuro rafforzate. «Sembrano resistenti» dico ad alta voce, ammiccando alle finestre. «Chicago viene chiamata la città ventosa» mi informa, guardando dritto mentre sale le valigie. Tira fuori dalla tasca dei suoi jeans un paio di chiavi, infilandone una nella serratura per poi entrare nel soggiorno della casa rustica. A destra c'è un mobile in legno scuro, vedo anche dei quadri appesi ai muri e sullo stesso lato c'è un grande arco che conduce alla cucina e alla sala da pranzo piccola. Beltran mi studia, tentando di capire se questa abitazione mi piaccia. «Al piano di sopra ci sono le camere da letto e il bagno» mi informa, passandosi una mano tra i capelli. Sembra che non sia abituato ad avere persone intorno, adesso dovremo convivere per qualche giorno e credo che questo lo agiti un pochino. Entro nel salotto a sinistra, notando un enorme divano a L bianco e due poltrone dello stesso tono. Di fronte c'è la televisione al plasma e sulla destra c'è un piccolo arco che conduce a una biblioteca.

Mi piace questo posto: è semplice ma delicato.

«Vuoi dare un'occhiata sopra?» domanda.

Annuisco, uscendo dal salotto per poi seguirlo sulle scale massicce sempre di legno. La prima porta al centro del corridoio è il bagno, mentre quella a sinistra è la sua camera e, quella in fondo a destra, sarebbe la mia. Il bagno è di medie dimensioni: ha un mobile con tanto di lavandino e specchio a destra, un gradino da salire per poter raggiungere i sanitari e la doccia enorme dai vetri trasparenti. Dovrò condividere anche questi spazi con lui, mi imbarazza un po' l'idea ma mi ripeto che sarà solo per quindici giorni. Devo fare chiarezza con me stessa, mettere in pausa tutto il resto e capire se questi sentimenti siano solo passeggeri o duraturi. Una vocina dentro la testa mi ricorda che se fossero stati solo momentanei sarebbero già scomparsi ma io la ignoro. Presto vado a dare un'occhiata alla mia camera, rimango stupita dalla mansarda alta e dall'enorme vetrata a sinistra del letto king-size. Una camera semplice, dalle pareti bianche e i mobili in legno chiaro. Beltran lascia la valigia di lato alla piccola cabina armadio con la porta scorrevole e io inizio a torturarmi le unghie, guardandolo con un lieve imbarazzo. Non ho mai convissuto con nessuno, è la prima volta e mi sento intimidita ma credo che lo stesso valga per lui. È stato silenzioso per tutto il viaggio, mi domando cosa gli passi per la testa. Sta per uscire dalla camera, quando lo richiamo e compio un passo in avanti. Assottiglia le iridi ghiaccio, aspettando che apra bocca. «Vuoi chiedermi qualcosa?» mi schiarisco il tono.

Non si aspettava che lo raggiungessi in aeroporto, l'ho letto sul suo viso fin dall'inizio eppure non ha detto nulla. I suoi occhi calano per qualche secondo sulle mie labbra, ma poi ritornando sulle mie iridi, come se fossero calamitati. «Insomma, sei stato silenzioso per tutto il viaggio e mi chiedevo se fossi ancora sicuro di volermi qui con te» abbasso il capo, sentendomi come un adolescente alle prime armi. Non sempre riesco a leggerlo, capirlo. Adesso per esempio, lo guardo ma non è facile decifrare la sua espressione da poker. «Goditi la serata, ne riparleremo presto» asserisce con tono atono, come se per adesso qualcosa lo bloccasse dal sapere la verità. Ignoro lo strano disagio crescente, gettandogli una breve occhiata mentre mi dà le spalle e se ne va in camera sua. Trascina la valigia, chiude la porta con uno scatto e io sospiro agitata, richiudendo la mia. Mi aspettavo un altro tipo di reazione, ma d'altronde quando mai ci ho preso con Beltran? È sfuggente, cinico e non si apre mai con nessuno. Mi stendo sul letto, chiudendo gli occhi giusto pochi secondi, peccato che bastino per mandare il mio corpo in tilt. Non appena sento la morbidezza del materasso sospiro in estasi, finendo per addormentarmi senza neanche farmi una doccia, cambiarmi o ingerire qualcosa di sostanzioso. 




Il Male In TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora