Capitolo 16

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Melvin

Melvin pedalò fino a casa sua. Sua madre, una volta giunto al negozio, gli aveva detto di andare pure a casa, in quanto quel giorno c'erano pochi clienti e sarebbe riuscita a gestirli da sola e gli aveva poi ricordato che lui doveva anche fare i compiti.

Dopo una sbuffata perché non aveva proprio voglia di mettersi sui libri, aveva baciato sua madre su una guancia poi, una volta uscito dal fruttivendolo, era montato in sella e con energiche pedalate si era diretto verso casa.

Non era detto che avrebbe studiato, anche perché non sentiva Felix da quando si erano salutati in auditorium e voleva proprio scrivergli per sapere come stesse andando. Non perché gli mancasse, no, sarebbe stato troppo strano dopo così pochi giorni passati insieme, ma perché finalmente aveva un amico maschio e poi gli piaceva stare in sua compagnia, anche se solo tramite cellulare.

Ritirò la sua bicicletta nel garage. Non voleva che facesse la fine delle ultime due. Degli stronzi, oltre a rubargliele, gliel'avevano persino distrutte e tutt'ora non aveva idea di chi fossero quei bastardi.

Entrò in casa passando per la porta del garage. Non aveva voglia di fare tutto il giro quando aveva una seconda, terza entrata lì a sua disposizione. Quella precisa porta dava su uno sgabuzzino, dove suo padre teneva tutti i suoi attrezzi e la madre, tutta la roba per il cucito, della cucina.

Melvin uscì dalla cucina e beccò suo fratello e una ragazza a ridere sul divano in salotto, ne poteva vedere le teste sbucare di poco da sopra lo schienale. I loro visi erano pericolosamente vicini. Era chiaro che Wilmer volesse baciarla.

Si schiarì la voce per attirare la loro attenzione. Quella volta sì, perché voleva evitare di vedere suo fratello amoreggiare con la sua ragazza, almeno sperava fosse lei, sul divano di casa loro.

Entrambe le teste si voltarono verso di lui e se sul volto di Wilmer vi era uno sguardo confuso, forse si stava domandando per quale motivo fosse a casa a quell'ora, su quello della sua ragazza vi era nato dell'imbarazzo e le sue guance si erano tinte di rosso, intonate con il suo colore di capelli.

«Melvin, che ci fai a casa?»

La ragazza di Wilmer si mise in piedi e sporse una mano verso Melvin, dopo che si fu avvicinato maggiormente a loro, «Piacere, Shannon», parlò con voce timida.

Strinse la mano di Shannon e le regalò un sorriso, «Piacere di conoscerti, Shannon. Io sono Melvin».

Melvin osservò per qualche secondo la ragazza. Aveva lunghi capelli rossi ― era sicuro fossero naturali ―, gli occhi azzurri in cui ora si poteva chiaramente vedere un leggero imbarazzo albergarci dentro e una bocca rosea a forma di cuore, i cui angoli erano incurvati verso l'alto in un piccolo sorriso.

Era proprio bellissima.

Poi spostò lo sguardo su Wilmer e gli mostrò il dito medio, «Mamma mi ha spedito a casa perché ci sono pochi clienti».

«Te ne vai in camera? Io e Shanni ci stavamo divertendo prima del tuo arrivo, rompicoglioni.»

«Wilmer!», Shannon fissò il suo ragazzo con stupore mentre Melvin schioccò la lingua contro il palato.

«Tranquilla, Shannon. Questo è il nostro modo di volerci bene. A sassate, ma ci vogliamo bene», precisò lui e vide perfettamente Shannon alzare gli occhi al cielo ― forse anche lei aveva un fratello o una sorella con un rapporto come il loro.

«Esatto, baby. Io e Vinny siamo fatti così.»

"Baby". Melvin storse il naso per il disgusto. Quello, a parer suo, era il nomignolo più orribile con cui chiamare la propria fidanzata. Gli ricordava troppo quei stupidi "bad boy" nelle storie che leggeva Bailee e che trattavano la ragazza che gli moriva dietro come un oggetto.

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