Capitolo 29

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Felix

Felix, anche se non lo stava dando a vedere, era triste. Il loro primo appuntamento era stato rovinato dalla pioggia e non si era concluso come avrebbe voluto, ovvero abbracciati nella camera da letto di Melvin mentre bisbigliavano per non farsi sentire dai suoi genitori, della giornata appena trascorsa tra una carezza e un bacio.

Melvin, per i primi minuti del viaggio di ritorno a casa, aveva mostrato più volte il dito medio al cielo e ciò aveva scaturito la leggera risata di Felix che lo aveva trovato buffo mentre malediceva il brutto tempo.

«Per la prossima uscita dobbiamo controllare meglio il meteo perché non voglio rischiare un'altra volta.»

Il suo ragazzo sbuffò contro il finestrino che si appannò con il suo alito caldo poi disegnò un cuoricino, «Ma anche oggi non dava pioggia eppure guardaci,» si indicò, zuppo d'acqua e con i capelli appiccicati ai lati del viso e appiattiti sopra, «siamo bagnati fradici e stiamo tornando a casa in anticipo!».

Felix gli sfiorò con i polpastrelli la guancia sinistra e la percepì fredda sotto il suo tocco, ma dopo appena pochi secondi incominciò a scaldarsi e anche senza guardarlo, comprese che avesse avvampato per la sua breve carezza.

«Lo so, piccolo, ma la prossima volta staremo ancora più attenti.»

Il resto del viaggio trascorse tranquillo. La pioggia che batteva violenta sul tettuccio della macchina e contro i finestrini. Melvin che cantava le canzoni che stavano passando in radio mentre Felix si sforzava di non ridergli in faccia per quanto fosse stonato, ma era felice del fatto che non si fosse lasciato sconfiggere dalla tristezza e dalla pioggia e che nonostante ciò si stesse divertendo.

«Dai, canta con me», Melvin gli diede due leggere sberle sul braccio destro per incintarlo a fare lo stesso.

Felix scosse il capo, «No, Mello, sono stonato».

Fece spallucce e batté una mano su una coscia che emise un suono bagnato, in quanto persino i pantaloni erano impregnati d'acqua, «Pure io lo sono, ma questo non mi ferma dal cantare le canzoni che mi piacciono quindi puoi farlo anche tu».

«Magari un'altra volta. Guarda,» indicò un cartello con l'indice mentre teneva le mani ben salde sul volante, «siamo arrivati a casa».

Passarono il cartello che dava il benvenuto a Maddison Town e Melvin si afflosciò nel suo sedile, demoralizzato. Il temporale si era trasformato in una leggera pioggerellina che picchiettava leggera sulla macchina.

Arrivarono davanti al cancello di casa Morgan dopo una quindicina di minuti e i due ragazzi rimasero stupiti nel vedere Gunnar e Libby aspettarli sulla veranda. Mentre si avvicinavano a loro con la macchina, iniziarono a notare come i loro visi non mostrassero alcun sorriso ma erano deformati dalla preoccupazione.

Cosa diavolo era successo?

«Che sta succedendo?», sbottò Felix, percependo il panico crescere in lui e stritolargli le budella.

«Non lo so, Lixie. Mi sto preoccupando.»

«Anche io!», strillò, il nervosismo palpabile nella sua voce.

Fermò la macchina. Si slacciò la cintura e fregandosene della pioggerellina, tanto più bagnato di così non poteva diventare, raggiunse di corsa suo padre e la madre del suo ragazzo, «Papà, cosa sta succedendo? Perché sei qui?», domandò con un forte tremolio nella voce.

Gunnar esalò un sospiro mesto. Un sospiro che fece allarmare ancora di più Felix e Melvin che lo aveva appena affiancato. Poi si passò una mano nei capelli biondo cenere, anche i suoi leggermente umidicci, «Non hai visto la foto e le notizie che circolano già in rete? Ti ho chiamato un centinaio di volte, ma il tuo cellulare risultava spento».

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