Cap.6 Il topolino

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GRACE

Le sue braccia mi imprigionano, quasi come a volermi impedire di fuggire.

«Dove vuoi che vada? Non ho aspettato altro», gli dico, sorridendogli.

Il suo è un pianto disperato. Le sue lacrime sgorgano come acqua fresca di un fiume; sono salate, colme di amarezza e di tempo sprecato. Gliele bacio una ad una, continuando a rimanere ancorata tra le sue braccia. Il suo profumo inebria la mia mente come sempre e penso che non vorrei essere in nessun altro posto, ora, se non in questo. Le sue braccia, la mia casa. Il suo cuore tamburella in modo sconnesso e quando provo a baciarlo per portare aria nuovamente ai polmoni, sfuma tutto.

Mi alzo di scatto, con il fiato corto, imprigionata nel nero delle lenzuola di seta di questo dannato letto.

Era solo un sogno

Un sogno bellissimo. Lui era bellissimo. È come se potessi percepire il calore della sua pelle sulle mie braccia nude; mi si sono rizzati tutti i peli al solo pensiero. Porto una mano sul petto e lacrime scendono, incontrollabili, dai miei occhi.

«Chissà se anche tu mi stai pensando», bisbiglio, volgendo lo sguardo alla finestra.

Ho perso il conto delle ore trascorse qui dentro. Jude e Ryan sono tornati e io non ho nessuna voglia di assecondare le loro pazzie e di espormi a loro. Mi sono chiusa a chiave dentro e non sono più uscita da qui. Elly è l'unica autorizzata ad entrare; non ha ancora perso le speranze con me, si ostina a portarmi del cibo ogni volta che può farlo. Che siano zuppe o frutta fresca, lei non si risparmia. Mi guarda sempre con occhi dolci di chi preferirebbe essere altrove in mia compagnia. Mi racconta delle sue giornate, dell'aria che tira in casa. Io provo spesso a torcerle qualche informazione in più ma finisco sempre per arrendermi quando, dopo averla tediata per ore, finisce per dirmi che non può parlarmi di quelle cose. Non può. Finisco per cacciarla dalla stanza in malo modo e lei, noncurante di ciò, torna sempre il giorno dopo. Mi sento in un girone dell'inferno, un loop infinito. Le mie giornate sono sempre le stesse e mi chiedo, a questo punto, perché i miei carcerieri non agiscano. Perché si limitano a tenermi segretata in casa quando potrebbero farmi di tutto per far arrivare Jason qui? Se è lui ciò che vogliono, perché non mi fanno del male? Il dolore fisico, al momento, lo preferirei di gran lunga a quello psichico. Mi si mozza il respiro nel pensare a Jason, ora. A quello che eravamo e a quello che saremmo stati se solo non avessi incontrato Ryan sul mio cammino.

Porto un cuscino sul volto, spingendolo a fondo con foga. Cosa si prova nel soffocare? Quanto in là può spingersi un essere umano in un momento di crisi e rabbia? Il dolore del corpo può sopprimere quello del cuore? Se io lo facessi, se spingessi davvero fino al punto di non ritorno, riuscirei a salvarlo? No, certo che no. Peggiorerei solo le cose. Sarei l'ennesima Giulietta dell'ennesimo dramma sbagliato. Romeo mi seguirebbe senza esitare e loro vincerebbero. E io non voglio che loro vincano.

Devo pensare, devo agire, devo fare in modo che Jason capisca dove sono. Ma non so come muovermi. Non ho il telefono con me, non c'è nemmeno un computer in questa casa e hanno persino pensato di bruciare tutti i fogli e i quaderni presenti in essa, così da tagliarmi definitivamente fuori dal mondo esterno. La mia unica speranza è Elly. Ma non può aiutarmi. Continua a ripetermi questo, come un disco rotto. Cosa diavolo le hanno promesso, in cambio?

Porto le lenzuola fin sopra la testa, sprofondando sotto di esse.

«Pensa, Grace. Pensa», mi dico, scuotendo il mio cervello a fare qualcosa in più di questo.

Quando penso di non avere altre alternative, la vedo brillare. La lampadina delle idee si è accesa e sono certa che questa volta funzionerà.

Non sono il topolino della tua trappola, Jude. E lo capirai presto.


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