Cap.23 Fondamenta

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GRACE

Jason è uscito prestissimo stamattina. Lavoro urgente da svolgere, ha detto. O almeno, questo è quello che io ho capito mentre dormivo. A differenza sua, nell'ultimo periodo, arrivo sempre tardi in ufficio. Ha detto che non ho più un orario e che posso fare un po' come se fossi a casa. Ammetto di averne approfittato già abbastanza. Ma se il capo ha approvato il tutto, va bene. No? Credo che la gravidanza abbia accentuato la mia voglia infinita di affondare nelle lenzuola per tanto, tanto, tempo. Mi sento sempre stanca e soprattutto... affamata. Troppo.

«Voi due finirete per farmi diventare una balena», dico, guardandomi riflessa nello specchio mentre accarezzo la pancia.

Ho indossato un abito svasato con delle margheritine, delle scarpe basse e ho lisciato i capelli. Con l'arrivo della primavera, posso osare di più e indossare qualcosa che non mi fasci troppo. Inizio a sentire il peso della pancia e a breve finirò per non vedere più la punta dei miei piedi. Il termine scade a giugno e al solo pensiero che partorirò due gemelli del segno dei gemelli, scoppio a ridere.

«Strano scherzo del destino», ironizzo, mentre indosso un giubbotto di jeans.

La camera da letto è un completo disastro. Io e Jason stanotte abbiamo faticato a staccarci l'uno dall'altro; l'ok della ginecologa ha causato in lui una scarica di adrenalina ed eccitazione insaziabili. Ci siamo addormentati con le prime luci dell'alba e lui avrà dormito si e no un'ora scarsa. Eppure, nonostante ciò, sono certa che lo troverò sempre al top della forma, nel suo completo nero, con quell'espressione cupa e grigia che però colora le mie giornate. A me il grigio non dispiace da quando conosco lui. Inizialmente pensavo che non avremmo mai potuto condividere qualcosa ma, a quanto pare, il destino non pensava lo stesso. Una lacrima calda scivola lungo la mia guancia al solo pensiero di tutto quello che abbiamo dovuto affrontare per arrivare dove siamo. Se io fossi morta, se non avessi lottato con le unghie e con i denti per tornare da lui, non me lo sarei mai perdonata. È lui il mio posto nel mondo. È lui il mio mondo. E voglio assolutamente che il mio ultimo respiro sia al suo fianco.

Perché anche quando saremo polvere, saremo insieme.

Le sue parole rimbombano nella mia mente e nel mio cuore, spingendo altre lacrime fuori dagli occhi e facendomi singhiozzare. Insieme. Ho capito il significato di questo termine solo stringendo la sua mano nella mia, affrontando tutto con la consapevolezza che non avrebbe mai abbandonato il mio fianco. E lui non lo ha fatto, neanche quando ho pregato che accadesse. Perché avrei sempre preferito sacrificare me per salvare lui. Perché un mondo senza Jason, io, non riesco più a immaginarlo. Per troppi anni mi sono sentita un'anima in pena, spezzata, priva di qualsiasi forma d'amore. Mi sono svalutata, ho smesso di brillare al fianco di uomini che non hanno mai apprezzato altro al di fuori del proprio ego. E ora, ora che ho finalmente trovato un uomo degno di essere definito tale, non mi sembra vero. Lo merito? Non lo so. Di una cosa sono sicura: lui verrà prima di tutto, sempre. E se sarà necessario difenderlo con la vita, lo farò. Se dovrò proteggerlo con la mia di vita, lo farò.

Non inferiore ma pari a me.

Jason è sempre stato bravo con le parole ma queste sono rimaste conficcate nella mia memoria. Non glielo dico mai ma quel giorno, ha curato ulteriormente la mia anima, attaccando un cerotto che non andrà mai via. E no, non è per la promozione. Del lavoro me ne faccio poco e nulla.

La porta alle mie spalle si spalanca improvvisamente, costringendomi a tirare su con il naso e a reprimere le lacrime che, furiose, fanno di tutto per venire giù.

«Grace, perdonami. Pensavo fossi già uscita di casa».

La voce di Elly rimbomba nella mia mente, schiarendola dai pensieri. Si avvicina con passo felpato, fermandosi due passi dietro di me.

«Tesoro, stai piangendo?», dice, poggiando una mano sulla mia spalla. «Tutto ok?»

Annuisco.

«Ricordi», biascico, tirando su il naso rumorosamente. «Gli ormoni non mi aiutano», ironizzo, asciugando l'ennesima lacrima con il dorso della mano.

Elly mi sorride teneramente. Mi si avvicina maggiormente e adesso mi ritrovo imprigionata tra le sue braccia. Il calore che permea dal tessuto della sua divisa, mi fa vibrare l'anima. Un calore che sa di casa.

«Vuoi parlarne?», accarezza dolcemente il mio braccio senza sciogliere l'abbraccio.

Scuoto la testa.

«Va bene, allora», si stacca da me, privandomi di quel dolce calore che per qualche minuto ha risollevato il mio umore. «Vuoi che ti chiami l'auto?»

«Faccio da sola, grazie», mi affretto a dire, voltandomi e afferrando la borsa. «Preferirei che tu non pulissi la camera, oggi», ammetto, imbarazzata.

Elly si guarda intorno per qualche secondo per poi piantare nuovamente i suoi occhi nei miei. Mi sento improvvisamente accaldata; Jason aveva ragione, Elly è in grado di metterti in soggezione senza dover proferire parola.

«Nulla che io non abbia già visto, Grace», mi conforta, «e anche se non l'avessi visto con i miei occhi stamattina, l'ho ascoltato stanotte con le mie orecchie», sorride appena, facendomi l'occhiolino.

Ok, le mie guance ora sono tutto un fuoco. Letteralmente. È come se mi fosse salita la febbre d'improvviso. Diamine, non pensavo di aver fatto così tanto rumore. Ma d'altronde, sono in casa mia. Se non qui, dove?

«Io...», sbiascico presa dalla vergogna, «io non...»

«È tutto ok, Grace. Non devi giustificarti, è casa tua», mi anticipa, «e poi lasciamelo dire, preferisco di gran lunga questo al sentirti piangere disperatamente con la testa immersa tra i cuscini».

Le sue parole mi lasciano senza fiato. Elly mi è stata vicino sin da subito; dal momento in cui sono stata rapita fino a quando sono stata portata in salvo, lei era lì. Mi ha tenuta su, ha fatto da fondamenta alla mia psiche fragile. Ha lasciato una carezza su quelle crepe create da persone che non erano lei, rimarginandole come meglio ha potuto. La mia unica amica in quelle mura fatte di tristezza, desolazione, sconforto. Elly.

«Qual è il tuo nome per intero?», chiedo improvvisamente, spiazzandola.

«Ellen», risponde titubante, «Ellen Mcgregor», mi guarda con sguardo investigativo. «Perché?»

«Curiosità», le scocco un bacio sulla guancia ed esco dalla camera, lasciandola in piedi al centro della stessa.

Daphne Ellen White. Jason sarà felice di sapere che nostra figlia porterà questo nome.


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