Cap.13 Patto di riservatezza

485 24 22
                                    

JASON

«Jax, all'auto! L'ambulanza ci mette troppo tempo!», urlo, prendendola tra le braccia.

«Ehi, resta con me, su», le dico, baciandole la fronte.

Grace socchiude gli occhi, respirando a fatica. Sto pregando tutti i santi del Paradiso affinché si salvi. Il sangue perso è troppo; non bisogna essere un medico per capirlo. Non so se siano stati danneggiati organi vitali ma vederla in questo stato, ora, mi sta facendo morire. Il sudore le imperla la fronte mentre i suoi occhi faticano sempre di più a rimanere aperti. Non la sento più tra le braccia.

«Andrà tutto bene, te lo prometto», sussurro, stendendola sui sedili posteriori.

Mi sistemo meglio, mantenendo salda la sua testa sulle mie gambe. Jax ingrana la prima, immettendosi sulla strada. La clinica privata dista mezz'ora ma sono certo che riusciremo ad arrivare anche prima. Dobbiamo arrivare prima.

«Spingi al massimo, non possiamo perdere tempo», lo incito, reprimendo le lacrime che spingono per uscire. Non posso piangere, non devo piangere. Cedere ora non è contemplato. Grace ha bisogno di me, della mia forza. Lo so che in qualche modo lei mi sente.

Jax fa come dico, annuendo con il capo. Gli alberi abbandonano il campo visivo, lasciando il posto a un'immensa distesa verde. Percorriamo il ponticello che ci divide dall'altra sponda; anche il fiume sembra essere in pena per lei. L'acqua scorre velocemente, infrangendosi sui sassi che giacciono ai lati dello stesso. Continuo ad accarezzare il suo viso con una mano mentre tampono la ferita con l'altra.

«Sai, mi sei piaciuta da subito», le parlo con un filo di voce. «Nessuno mai prima di te ha osato parlarmi in quel modo», continuo. Il suo viso scavato provoca in me una fitta di dolore non indifferente; da quanto tempo non mangi, amore mio? I suoi occhi sono cerchiati di nero, la bocca asciutta evidenzia lo stato di disidratazione e posso percepire l'ossatura delle costole senza il bisogno di spogliarla. È evidente che lì dentro non mangiasse. O, al massimo, che mangiasse davvero troppo poco. Io non posso nemmeno immaginare cosa abbia passato mesi e mesi rinchiusa tra quelle mura. Per me il tempo non è passato, per lei sì; Jude, Ryan e Claire pagheranno con il sangue che si ritrovano in corpo quello che hanno fatto passare a Grace. Dio dimentica e perdona, io no.

«Ho capito all'istante che tu fossi diversa da tutte le altre», continuo il mio racconto, speranzoso che lei possa sentirmi in qualche modo. «Per giorni hai occupato la mia mente, sia in positivo che in negativo. Mi chiedo che vita io abbia condotto prima di conoscere te».

Una lacrima scorre lungo la sua guancia, arrivando a tracciare una linea che termina lungo il suo collo. Lei è qui, con me.

«Jas...», la sento sussurrare.

«Sssh», le poggio un dito sulle labbra, «non sforzarti. Siamo quasi arrivati».

Jax preme il piede sull'acceleratore e mi ritrovo a dover stringere maggiormente Grace sulle gambe, affinché non scivoli lungo i sedili.

«Signore, siamo arrivati», inchioda, facendomi sobbalzare appena.

L'equipe medica, avvisata precedentemente, aspetta davanti all'entrata.

«Signor White, cosa succede?»

«È mia moglie, è stata colpita da un'arma da fuoco, non so bene dove», dico, stringendola tra le braccia.

«La poggi pure qui», la donna indica una barella, «è un codice rosso, portatela velocemente in sala operatoria», urla ai colleghi che prontamente fanno come dice.

«No! Devo andare con lei!», mi dimeno, facendo cadere uno dei medici al lato.

«Lei resta qui!», mi ammonisce la dottoressa che, per placarmi, si pone davanti a me.

Fate or chance? #2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora