Cap.29 Vivere?

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T.W: in questo capitolo viene affrontata una morte per suicidio. Se siete sentibili al tema, NON proseguite con la lettura. Grazie.

JASON

Rimango in attesa per qualche secondo.

L'ansia monta nel petto come una bestia affamata. Ho un'improvvisa voglia di distruggere tutto quello che è presente in questa dannata stanza. Un mese. Un fottutissimo mese senza comunicazioni di alcun tipo. No telefonate, no visite, no lettere. Ero stato molto chiaro. Avrebbero dovuto telefonare solo in caso di necessità e credo proprio che quel momento sia arrivato.

«Pronto, signor White, è lì?», la voce calda di un uomo risuona nell'altoparlante del telefono.

«Sì, mi dica», rispondo con un tono un po' troppo cupo anche per i miei gusti.

Lo sento tossicchiare dall'altro capo del telefono. Sposto il peso in avanti, poggiandomi con entrambi i gomiti sulla scrivania. Allento la cravatta che sembra quasi abbia voglia di soffocarmi da un momento all'altro e attendo che l'uomo proceda, impaziente, ma attendo.

«Suo fratello è...», temporeggia, abbassando la voce.

«Morto?», azzardo.

«L'abbiamo trovato riverso sul pavimento del bagno, si è tagliato le vene, non sappiamo come sia stato poss...»

«Va bene», lo interrompo, glaciale.

Dovrei essere sollevato da questa notizia ma sento che qualcosa dentro di me si è rotto. Deglutisco a fatica, rigettando le lacrime che prepotenti premono per uscire fuori. Un cratere. Questo è quello che si è formato al centro del mio petto. Mi sento vuoto improvvisamente; non so se io sia più triste o amareggiato per la vita che ha deciso di vivere. Anzi, di non vivere. Si è fottuto con le sue stesse mani, da sempre. È stato un bastardo maledetto, non si è risparmiato, mi ha fatto soffrire. Ma in questo momento non riesco a provare sollievo. Non riesco, cazzo. E mi detesto per questo. Cosa diavolo ho che non va?

«Dovrebbe passare per firmare le carte che attestano il rilascio del corpo», continua, «del funerale se ne occupa lei, vero?»

«Sì», sbiascico poco convinto, «quanto tempo ho?»

«Possiamo tenerlo al massimo fino a domani mattina»

Ottimo tempismo. Ha deciso di rovinare anche il matrimonio. Bastardo maledetto. Il mio incubo fino alla fine, vero, Jude?

«D'accordo», rispondo seccato, «sarò lì per le otto».

«Grazie, signor White. Mi scusi per il disturbo».

Riattacco prima che possa aggiungere qualche altra stronzata. Lancio il telefono contro la parete e lascio sprofondare le mani nei capelli. Li tiro appena, provocandomi un dolore leggero ma acuto. Sento il petto vibrare, il cuore scalpitare per la voglia di uscire fuori; le gambe tremano in modo sconnesso e la testa pulsa come se qualcuno la stesse prendendo a pugni. Per anni non ho fatto altro se non rimarcare la differenza abissale tra me e mio fratello; lui il male, io il bene. Lui il peccato, io la redenzione. Lui il bianco, io il nero. Per anni ho corso una maratona immaginaria, piazzandomi sempre al primo posto, lasciando alle mie spalle pezzi del mio io e le persone che per un breve periodo di tempo hanno rappresentato qualcosa nella mia vita. Ho sempre colpevolizzato la mia famiglia e la loro disfunzionalità per la morte di Jacqueline; ma è stato davvero così?

Io volevo essere come te, volevo essere te. Ma non ci sono mai riuscito. Tu hai sempre primeggiato su tutto, anche quando il matrimonio dei nostri genitori è andato in pezzi e Jacq è morta, tu hai primeggiato.

Le parole di Jude risuonano nella mia mente, mozzandomi il fiato. Con uno scatto secco sposto gli oggetti dalla scrivania, facendoli cadere al suolo. Il portapenne in cristallo si frantuma in pochi secondi, spargendo pezzi ovunque sul pavimento; osservo il riflesso dell'uomo furioso che mi fissa, colpevolizzandomi e facendomi sentire un mostro.

Fate or chance? #2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora