Prologo.

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2006 – Lipsia, Germania

"Avrei voluto dirtelo in maniera diversa, Grace" sentì la voce di Tom alle mie spalle, mentre seguito dagli altri stava scendendo la rampa di scale che separava i due piani dell'abitazione.

"Non ha importanza Tom, questo è il vostro sogno, è quello che volete fare da quando siamo bambini e non vi è altro modo per realizzarlo se non andarvene da questo buco di cittadina" risposi, appoggiando entrambi i gomiti al tavolo della cucina e voltandomi verso di loro, scrutandoli uno ad uno.

Avevano le facce tristi, lo sguardo di Bill era completamente incollato al pavimento mentre quello di Tom sembrava bruciarmi addosso, come se fosse in attesa di una soluzione miracolosa da parte mia che comportasse il fatto di non doverci separare tutti quanti.

"Mi mancherai da morire" sentenziò ad un tratto Bill, lasciando trasparire i suoi bellissimi occhioni marroni divenir lucidi e correndo letteralmente verso di me per stritolarmi tra le sue braccia, seguito da tutti gli altri eccetto Tom, il quale rimase inerme nella stessa posizione di prima.

A tal gesto mi lasciai sfuggire una risatina, abbandonandomi completamente tra le braccia dei ragazzi e nel loro affetto.

"Mi mancherete anche voi, tutti quanti" risposi, sottolineando le ultime parole e pronunciandole con lo sguardo verso il rasta, che in quel momento finalmente mi rivolse un sorriso.
"Ci verrai a trovare?" mi chiese quest'ultimo, aspettando che gli altri sciogliessero la presa su di me prima di venirmi incontro e stringermi in un abbraccio 'tutto suo', senza nessuno aggiunto.
"Assolutamente, farò del mio meglio per raggiungervi tra una pausa e l'altra dagli esami" annuì, schioccandogli un rumoroso bacio sulla guancia che lo fece sorridere ancora una volta.

"Promesso?" ripeté il ragazzo, porgendomi il mignolino come se fossimo due bambini piccoli, scaturendo l'ilarità dei ragazzi alle nostre spalle e la mia, mentre ci fissavano con sguardi compiaciuti.
"Promesso.. e smettila con queste cose, non abbiamo quattro anni!" lo rimproverai giocosamente, prima di assecondarlo e stringer il mio mignolo al suo per sigillare la nostra promessa.


2010 – Los Angeles, USA

"Grace, grace! Apri la porta!" sentivo le grida di Juliet farsi sempre più insistenti mentre sbatteva i pugni fuori dalla porta, facendomi agitare ancor di più.
"Arrivo, arrivo!" sbuffai, alzandomi dal bordo della vasca sul quale ero seduta per avvicinarmi all'ingresso del bagno, spalancandone la porta.
"Finalmente! Quindi?" mi chiese impaziente, mentre le facevo cenno verso il lavandino dove avevo appoggiato tutto l'occorrente in attesa di un risultato.

"Bisogna aspettare, ho appena finito... Sulla confezione dice di attendere una manciata di minuti" replicai lasciandomi andare ad un sonoro sospiro, appoggiandomi allo stipite della porta mentre lei mi superò, andandosi a sedere sul bordo della vasca dov'ero io qualche attimo prima.

"Lo sai che non ti perdonerà mai, vero?" incalzò nuovamente l'argomento, guardandomi con aria severa.
"Non mi interessa, ha fatto le sue scelte due anni fa ed io ho fatto le mie. Sono andata avanti, siamo andati avanti e..." Juliet mi interruppe nuovamente, fulminandomi con lo sguardo.

"Però questo discorso la sera degli awards non è valso, giusto? Eravate troppo impegnati tutti a festeggiare per pensare alle conseguenze delle vostre azioni?" sbottò, alzandosi nuovamente in piedi ed incrociando le braccia al petto, iniziando a camminare avanti e indietro per il bagno.
"Ti comporti come se fosse un problema tuo, sei più agitata di me, ti rendi conto?" l'ammonì, continuando a fissarla.

"Perché mi rendo conto della gravità delle cose! Mentre tu sei troppo impegnata a marcire nel tuo orgoglio da diciassettenne e che non hai mai perso nei suoi confronti, nemmeno ora che ne hai quasi 21!" mi rispose, appoggiandosi con una mano al bordo del lavandino e fissandomi senza alcun tipo d'emozione; era davvero incazzata.

"Marcire? Poteva scegliere, poteva dirmi la verità! Non ho nessun orgoglio marcito, semmai del rispetto per me stessa che ho preferito dimostrare invece di farmi trattare come una groupie qualsiasi!" urlai di tutta risposta, sentendo gli occhi pizzicarmi e farsi lucidi, con un tremendo nodo alla gola che minacciava di far la sua comparsa in un pianto isterico di lì a poco.

"Perché secondo te che figura hai fatto la sera degli awards, comportandoti così? Non ti sei messa al pari di una delle loro groupie qualsiasi, facendo tutto questo? Guarda in che casino ti sei cacciata! E non vuoi nemmeno assumertene le responsabilità e comportarti da adulta!" gridò di rimando, prima di guardarmi scoppiare in un tremendo singhiozzo.
"Pensi che fossi cosciente? Pensi che tornando indietro lo rifarei? Certo che no!" urlai nuovamente, sbattendo un pugno contro la porta, indietreggiando "Ma non ero la sola, non c'ero solamente io!" continuai, iniziando a piangere del tutto.

Seguitò a guardarmi senza proferir parola, quando avvertimmo un piccolo "beep beep" provenire dalle nostre spalle, segno che era tutto pronto.

La vidi dunque voltarsi e rivolger lo sguardo verso il lavandino, per poi ritornar con quest'ultimo su di me.
"Non te lo perdonerà mai" mi ripeté, a sua volta con gli occhi lucidi.

L'ultima primavera (Tom Kaulitz) // Tokio HotelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora