42. VIA DI FUGA

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È pomeriggio, cammino verso casa, oggi ho interrotto il mio lavoro prima di quanto avrei dovuto. Da nord soffia un vento leggero che mi muove le vesti ancora pesanti. Ho sempre con me la mia scorta, ormai tutti ci siamo abituati ad averla. Quasi non ricordo più il tempo in cui camminavo da solo senza nessuna paura a tutte le ore del giorno e della notte, libero.

Non riuscivo a stare concentrato sui miei doveri, in cuor mio non riesco a fidarmi di Kalaja e Potresh, non riesco a credere fino in fondo che se noi li accogliamo nella nostra zamilièt ed Eukenda si mostra favorevole ad incontri regolari e a costruire una relazione, loro metteranno da parte i loro progetti violenti e saremo tutti felici. Non mi sembra ragionevole che 2 persone che meditavano un omicidio possano repentinamente cambiare idea se ottengono ciò che più desiderano.

So che sarebbe meglio non nutrire pensieri negativi e alimentarli, ma sento che c'è una stonatura in tutta questa storia, ho la stessa sensazione di quando qualcuno mi sta mentendo. La verità è armonica, ha una sua linearità e coerenza, la menzogna al contrario è stonata, di fondo ha una vibrazione caotica.

Tuttavia non c'è nulla che sostenga questa mia sensazione e quindi devo andare fino in fondo e provare a credere che le cose possano funzionare se tutti facciamo la nostra parte.

Sono così assorto nei miei pensieri che non mi accorgo che sono già arrivato a casa. Attraverso il grande portone di legno, mi congedo dalle guardie ringraziandole e vado direttamente in cucina, ho bisogno di parlare con Dashrua. Ho avuto un'idea oggi e ne voglio parlare subito con lei e in più dobbiamo organizzare questo primo drèkas (pranzo) a cui inviteremo Kalaja e Potresh.

La mia folle idea è di partire appena inizia l'estate, solo noi 5 e non fare mai più ritorno. Una vera e propria fuga che tutti penseranno essere un viaggio, tuttavia ad un certo punto sparire e non dare più notizie finché qualcuno non annuncerà che siamo dispersi in mare dopo un naufragio e probabilmente morti.

È un'idea semplice ma realizzabile e potrebbe funzionare se ci allontaniamo molto dalla Trinakria e non facciamo mai più ritorno. Ed è questa la parte triste, diventare apolidi, stranieri in ogni luogo, senza una patria, senza più radici. Ma il rischio è che uno di noi potrebbe morire, il più caro al mio cuore. Non potrei vivere una vita senza Ilush, anzi nemmeno un'istante.

Entro in cucina, Dashrua e i servi sono intenti a preparare la cena. Appena entro si fermano e mi salutano. Chiedo alla donna se può raggiugermi nella mia camera che devo parlarle con urgenza. Mi chiede cos'altro sia successo, la rassicuro che oggi non è ancora successo nulla. Deve dare le ultime direttive per la cena e mi raggiunge il prima possibile.

Mi dirigo verso la mia stanza. Mi fermo nel portico, il cielo è già nero ma pieno di stelle luminose, non ci sono nuvole, i bracieri ondeggiano appena per il vento, ce n'è uno acceso in mezzo ad ogni coppia di colonne nella sola parte frontale. Gli alberi del giardino sono inquieti come il mio animo. L'aria è fredda ma ogni giorno un po' meno, segno che anche questo inverno volge al termine. La primavera è ormai vicina.

Entro in camera, sento il tepore del camino acceso, hanno usato legna di quercia per alimentarlo, se ne sente l'aroma. Tolgo il mantello con un movimento deciso, lo adagio su una sedia, mi lavo le mani e il viso, mi asciugo con un piccolo telo di lino. Vorrei fare subito un bagno ma prima preferisco parlare con la mia keshilltari (consigliera).

Mi siedo sul sofà, sento che bussano alla porta, dico di entrare, è Dashrua, battendo la mano sul sofà, le faccio segno di sedersi accanto a me. Nonostante abbia insistito molte volte è ancora restia a considerarsi sullo stesso piano senza distinzione di classe sociale, vorrebbe restare in piedi, insisto affinché si sieda, non abbiamo molto tempo prima che anche gli altri tornino a casa.

EONIOS DESMOS (LEGAME ETERNO)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora