Odio il mio nome.
Mio padre lo ha scelto quando mi ha visto per la prima volta e mi ha tenuto tra le braccia, qualche minuto dopo la mia nascita. Era felice, credo. Almeno questo è quello che mi ha raccontato mia madre, in realtà io non ci credo affatto.
Come può un uomo essere felice per la nascita della persona che appena quattro anni dopo abbandonerà per sempre?
Mamma dice anche che mi amava così tanto che appena una settimana dopo quel primo dicembre è corso a tatuarsi il nome Valerio su tutto il braccio sinistro. Mi chiedo se oggi abbia ancora quel braccio o se lo sia tagliato per dimenticarsi completamente di me.
Mi piace pensare che quando si sveglia la mattina, guarda il suo braccio e, leggendo il nome di quello stupido di suo figlio, pensa: "Cazzo, ho abbandonato mia moglie e un bambino di quattro anni. Vabbè, vado a prepararmi un caffè". E così, senza il minimo senso di colpa, si alza dal letto e va in cucina a fare colazione con la sua nuova famiglia.
Abbraccia i suoi figli, non preoccupandosi di quello che aveva già ma che non ha mai amato. Dà un bacio sulla testa della sua compagna, mentre la guarda sorridendo e pensando di non avere mai desiderato nulla di meglio. Se ne frega della povera donna che ha lasciato con un bambino da crescere, senza soldi.
Mio padre è un bastardo, la persona che odio di più al mondo, ma anche quella che più avrei voluto avere al mio fianco quando ero un bambino.
Per questo, quando qualcuno mi chiama col mio nome intero, sono costretto a nascondere la rabbia che mi crea, perché non voglio sembrare pazzo.
Quando mia madre pronuncia il mio nome, roteo gli occhi. Alzo la testa verso di lei per poterla guardare e subito mi sorride.
«Non ci posso credere che hai già 17 anni, il tempo è volato», afferma e poi sospira piano.
Credo che sia la quinta volta che mi ripete la stessa frase, ma posso capirla: non deve essere facile per lei vedere suo figlio crescere così velocemente.«Già, e tu diventi sempre più vecchia», ridacchio e lei in tutta risposta riduce gli occhi a due fessure e alza il terzo dito.
«Dai, ora devo andare a scuola, ci vediamo dopo mamma».
Si alza dal posto e mi raggiunge a grandi passi. Mi stampa un sonoro bacio sulla guancia e poi mi guarda con occhi carichi di amore.«Buon compleanno, Vale». Ringrazio, prendo lo zaino che avevo appoggiato vicino alla porta d'ingresso ed esco di casa.
Oggi fa freddissimo: l'inverno ormai è alle porte ed io non potrei esserne più felice. È la mia stagione preferita in assoluto: amo stare in casa con le coperte, indossare le felpe e bere qualcosa di caldo. Ma soprattutto, amo la magia del Natale.
Mi stringo nella felpa e cammino verso la scuola che per fortuna non è distante da casa mia e posso raggiungerla a piedi.
Oggi ho anche dimenticato le cuffie a casa e non posso ascoltare la musica, quindi presumo che il tragitto questa mattina sarà piuttosto noioso. Non capisco come facciano le persone che non ascoltano la musica a non sentire un vuoto. Come si può camminare senza l'accompagnamento delle note musicali? Come si può fare qualsiasi cosa?
Il tempo sembra passare più lentamente del solito, cosa che non fa altro che darmi fastidio. Per giunta è anche lunedì, il giorno peggiore della settimana. La ciliegina sulla torta è che è il mio compleanno: il primo dicembre è il giorno peggiore di tutto l'anno, lo abolirei se potessi.
Dunque, si può capire che oggi il mio umore è a terra e solo una cosa potrebbe risollevarlo, ma so che non accadrà mai.
Guardo il telefono per la millesima volta: una piccola parte di me spera ancora in un suo messaggio, ma ovviamente sul display non c'è nient'altro che la foto di me e Leo. Nessun messaggio, nessuna chiamata, niente di niente.
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Primo dicembre
ChickLitValerio è insicuro: a causa del suo passato doloroso, ha la costante paura di essere abbandonato e di restare solo. Ogni giorno è costretto a fare i conti con le innumerevoli delusioni che ha ricevuto per tutta la vita, quelle che lo hanno portato a...