Capitolo 14

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Sono affacciato alla finestra, mentre osservo la luna alta nel cielo: vorrei parlarle e dirle quello che provo, come facevo quando ero piccolo.

Sospiro, scostando ulteriormente le tende azzurre che mia madre ha comprato quando ero solo un ragazzino.

Questa stanza è completamente diversa rispetto a quelle delle case in cui ho vissuto quando ero piccolo, eppure le tende non sono mai cambiate, sono quelle dietro cui mi nascondevo quando mamma e nonna litigavano e quelle che spostavo per osservare la mia cara amica luna.

Non riesco ad esprimere a parole quanto sia terapeutico per me restare qui fermo ad osservare la luna, so solo che mi sento subito meglio, come se mi liberassi dai pesi con cui ogni giorno sono costretto a farei i conti da anni.

La pioggia ha smesso di cadere poco fa e adesso l'aria è perfetta, siccome non fa troppo freddo per poter stare con la finestra aperta, ma nemmeno troppo calda per non indossare un comodo maglione.

Vorrei poter chiedere alla luna che cosa ci facevano insieme quei due, vicino alle panchine del bar più frequentato della città, ma so che non sono fatti miei e soprattutto so che lei non mi risponderebbe, come non ha mai risposto a Giacomo Leopardi che l'ha invocata spesso nelle sue poesie.

Come colpito da un'illuminazione divina, mi affretto a cercare un vecchio quaderno che non uso più, apro la prima pagina e strappo il disegno che mi aveva regalato Cristina, qualche mese fa.

Afferro una penna e scrivo tutto ciò che mi passa per la testa, tutti i miei pensieri e le angosce che mi porto dentro e che non riesco a confessare. Butto giù ogni emozione e, quando finisco tutto ciò che volevo dire, riguardo il foglio in silenzio. Sospiro, sentendomi subito meglio.

Ma questa pace non dura abbastanza, poiché il silenzio viene bruscamente spezzato da un urlo terribile, un urlo che mi fa sobbalzare per lo spavento.

Col cuore che batte all'impazzata, mi precipito verso la camera di mia madre, dove è stesa nel letto, con gli occhi spalancati e le mani sulla pancia.

«Mamma! Che succede?», urlo colto da una paura tremenda. Lei non riesce a proferire parola ed io non so come aiutarla.

È in momenti come questi che vorrei avere la macchina: potrei portarla subito al pronto soccorso, invece non ne ho la possibilità.

Corro di nuovo in camera mia solo per prendere il telefono, poi torno da mia madre che, dolorante, è ancora sul letto. Le stringo la mano su cui deposito dei baci, nel tentativo di tranquillizzarla un po'. Ma le urla non cessano, anzi, non fanno che peggiorare.

Chiamo Lorenzo più di una volta, ma lui non risponde. Sicuramente sta dormendo ed è comprensibile visto che sono le tre del mattino.

Sento di star entrando nel panico, ho paura e non so come dovrei comportarmi.

Nel frattempo mia madre emette un altro grido disperato, mentre continua a premere le mani contro la pancia.

Decido che chiamare un'ambulanza sia la scelta migliore, almeno potrò rendermi utile in qualche modo.

Resto affianco a mia madre per tutto il tempo, sussurrandole parole di conforto e accarezzandole i capelli. Se le mostrassi quanto sono preoccupato, non farei altro che peggiorare la situazione, ma è così difficile mantenere il controllo e restare calmo, soprattutto perché dopo dieci minuti che ho chiamato l'ambulanza ancora non si vede arrivare nessuno.

Vorrei piangere e urlare, ma devo essere forte per mia madre e per il bimbo che porta in grembo. Devo resistere.

Il suono delle sirene mi fa emettere un sospiro di sollievo, finalmente sono arrivati.

Primo dicembre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora