Capitolo 6

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Solitamente il 31 dicembre per me è un giorno di riflessione: mi stendo sul letto e penso a tutto ciò che è andato storto quest'anno, a come ho reagito e cos'altro avrei potuto fare.

Negli anni passati mi concentravo soprattutto sulle litigate con mia madre e con Cristina. Pensavo al fatto che avrei dovuto decisamente impegnarmi di più a scuola, perché a un certo punto ho smesso di studiare e di ascoltare gli insegnanti, perché la mia testa non ne voleva sapere di stare attenta e preferiva perdersi nei suoi pensieri.

Oggi è di nuovo l'ultimo dell'anno e festeggerò l'arrivo di quello nuovo coi miei amici per la prima volta, perché prima di adesso non mi sono mai sentito abbastanza carino o simpatico per poter stare in un contesto simile, a contatto con tante persone.

Ed è proprio su questo che mi concentro, mentre continuo a intrecciare le dita tra di loro, fissando il soffitto della mia stanza.

Quest'anno ho un unico obiettivo e non ha che vedere con nessuno al di fuori di me stesso: voglio imparare a vincere la timidezza, a non pensare a quello che la gente potrebbe pensare di me. Voglio poter mostrare il vero me senza vergognarmene e penso che andare a una festa simile possa essere un inizio.

Infilo le cuffiette nelle orecchie, avvio la mia playlist di fiducia e mi lascio cullare dalle note che mi hanno accompagnato nei momenti più bui della mia vita.

Chiudo gli occhi e, a bassa voce, canto anche io. Ed è in questo momento che la parte più fragile di me emerge, quella che nascondo anche agli occhi dei miei amici e di mia madre, quella di cui mi vergogno e che vorrei reprimere.

Nonostante la mia timidezza, ho sempre mostrato la parte migliore di me a chi mi sta attorno: i miei amici mi descrivono come un ragazzo simpatico e che sa far ridere con delle stupide battute.

Ma non sanno che mi sento costantemente fuori luogo e penso che in realtà non ci sia posto per me in questo mondo.

Mi giro su un fianco e mi ripeto che passerà tutto, che un giorno starò meglio. Stento a crederci.

Le ore trascorrono e io non mi muovo dal letto: mi sento inutile perché anche oggi non sto combinando un bel niente, sto solo perdendo tempo a letto. Ho tanti sogni, tanti obiettivi, ma non riesco a raggiungerne nemmeno uno perché non ho neanche la forza di alzarmi.

«Vale, ti stai preparando?». Mia madre entra nella stanza, senza preavviso. Sussulto per la sorpresa e velocemente mi passo la manica della felpa sotto agli occhi per asciugare le lacrime.

Noto la sua espressione preoccupata, ma non dice niente. Mi rendo conto subito che si è accorta che qualcosa non va, ma ha preferito non dirmi nulla, forse perché non vuole forzarmi a parlare di qualcosa che voglio tenere per me.

«Ora mi preparo, sto ascoltando un po' di musica», rispondo e cerco disperatamente di non far incrociare i nostri sguardi. Il suo però è fisso su di me, lo sento bruciare sulla mia pelle.

In realtà avevo già bloccato la musica da un po', ma ho ancora gli auricolari nelle orecchie. Li sfilo e le do le spalle per aprire l'armadio, in cerca di qualcosa di carino da mettere.

Mi rendo conto che non ho molte opzioni e subito temo di sembrare ridicolo o non adatto all'occasione. Continuo a frugare tra le magliette e i pantaloni appesi mentre penso di sembrare un bambino che vede per la prima volta com'è fatto il mondo esterno alla sua realtà.

«Perché non metti una camicia? Ti starebbe bene». Una camicia. Sarà adatta per una festa tra amici o sembrerò troppo elegante? Forse dovrei chiamare Leo e chiedergli un consiglio.

«Una camicia, sì, è un'idea. Ora scusami mamma, devo fare una chiamata», la liquido velocemente con un gesto della mano. Lei sospira, esce dalla stanza e chiude la porta alle sue spalle.

Primo dicembre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora