Capitolo 25

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Osservo la mia ex ragazza da qualche minuto con gli occhi spalancati. Non riesco a credere che sia qui davanti a me. Proprio oggi.
Proprio quando tra me e Alice inizia a concretizzarsi qualcosa.

Le parole non vogliono saperne di uscire dalle mie labbra e il mio corpo è bloccato.
Non è possibile.

«Sei così stupito?», chiede sorridendo.
Sì, sono decisamente scioccato. Ma non credo che sia una cosa positiva. Poche ore fa ero abbracciato ad Alice, mi sentivo leggero e finalmente felice. Ero al posto giusto.

E adesso davanti a me c'è Cristina.
C'è la prima ragazza che io abbia mai amato, quella persona che per tanto tempo ha occupato la mia mente e il mio cuore.
Sorridevo quando sentivo pronunciare il suo nome e quando vedevo una sua notifica sul display.

Lei è sempre la stessa Cristina. Ha i suoi soliti ricci scuri, i suoi soliti occhi grandi e marroni e il suo solito sorriso smagliante.

Eppure le sensazioni che provo in questo momento non sono quelle che provavo prima. Forse sono io a non essere lo stesso Valerio.

«Perché sei qui?». La mia domanda suona più come una minaccia. Non riesco a mascherare il fastidio che mi reca la sola vista di Cristina.
«Non sei felice di vedermi?».

Mia madre ci lascia soli, sparendo oltre la porta della cucina. La guardo andare via, poi concedo la mia attenzione unicamente alla ragazza che ho davanti ai miei occhi.

«Cristina, perché sei qui?», ripeto noncurante del suo sguardo supplicante.
Non ricordo nemmeno quanto tempo è passato dall'ultima volta che mi ha guardato in questo modo e questo mi rende infelice.

Se penso a come sono andate le cose tra noi due, non riesco a sorridere e a dire di avere dei ricordi piacevoli.
Nonostante abbiamo condiviso dei bei momenti insieme, alla fine sono sempre stati rovinati dalle sue misteriose scomparse o dalle sue lamentele per qualsiasi cosa io facessi.

«Tu mi hai chiamata un po' di tempo fa. Pensavo che volessi parlare con me e così ti ho fatto una sorpresa», spiega in modo calmo, ma con la stessa scintilla di preoccupazione che le illumina gli occhi.

Beh, il suo è un pensiero lecito, ma sbagliato. Ho avuto un momento di debolezza e avevo bisogno di appigliarmi a quella che per me è sempre stata una certezza in cui potermi riparare, ma pensando lucidamente non ho fatto la scelta giusta.
Non ho bisogno di questo, non ho bisogno di Cristina in casa mia che mi cura le ferite e mi asciuga le lacrime, perché ogni volta che ci siamo trovati in questa situazione non è mai andata a finire bene.

Se penso a quello che avrei dato qualche mese fa pur di parlare con lei, mi vengono i brividi.
L'ho rincorsa per così tanto tempo che ho messo da parte completamente i miei bisogni e i miei desideri, mi interessava solo assecondare i suoi.

«Ho commesso un errore, non avrei dovuto chiamarti».
«Però l'hai fatto e io ora sono qui. Ho fatto un lungo viaggio per stare con te, non puoi cacciarmi di casa come se niente fosse. Tua madre è stata gentilissima ad ospitarmi, come faceva un tempo. Sei solo tu quello diverso», sputa le parole con veleno, probabilmente cercando di ferirmi.

Lei forse sta dimenticando che nella relazione sono sempre stato io a fare sacrifici, pur di stare insieme.
Sono io che pagavo i suoi biglietti per venire qui a Roma, nonostante non me li potessi permettere. Io pagavo i miei biglietti per raggiungerla a Torino e non le ho mai fatto pesare niente. E, per di più, i suoi genitori non sono mai stati ospitali nei miei confronti, mi hanno sempre trattato con superficialità e lei non gliene ha mai parlato per risolvere le cose.

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