«Ti piace?».
Guardo Cristina mentre mi mostra il suo regalo: un maglione di lana azzurro e bianco, i colori della Lazio.La fisso intensamente, sperando di incenerirla.
Come le è venuto in mente di comprare uno stupido maglione con i colori più brutti del mondo? È risaputo che la mia vita è colorata di giallo e rosso, i colori della mia Roma.«Scusa, ma sai con chi stai parlando?», chiedo infastidito e stranito. Forse si è dimenticata quali sono le mie passioni, le cose che mi piace fare e la squadra del mio cuore.
Non capisco se è seria o se mi sta prendendo in giro, ma ricevo la risposta che cerco solo osservando la sua espressione confusa.
Lascio stare, non vale la pena iniziare un discorso del genere con lei, mi urlerebbe contro che me la prendo per motivi futili e che devo calmarmi.
Eppure non mi sembrerebbe stupido se mi arrabbiassi, perché dopo tutti questi anni dovrebbe sapere una cosa così scontata.
Mi convinco del fatto che è stato casuale, che non ci ha nemmeno fatto caso, ma la situazione continua a sembrarmi strana.«Ordiniamo una pizza stasera? Stiamo a casa e guardiamo un film», propone.
Progetta piani come se questa fosse la nostra casa, quella di cui in passato parlavamo e che non vedevo l'ora di vedere coi miei occhi.
«Lavoro», è la mia riposta sbrigativa e fredda.
Per la prima volta, sono contento di andare a lavorare in quel posto infernale, perché non avevo voglia di accettare la sua richiesta, ma non avrei saputo dirle di no.«Come lavori? Mentre io sono qui a Roma? Scusa, non puoi dire che sei malato? Non puoi lasciarmi sempre da sola!», protesta, sbattendo i piedi a terra come una bambina a cui sono state negate le caramelle.
Anche quando sono costretto a dire di no, riesce a farmi sentire in colpa, è incredibile.
Col passare del tempo sono sempre più stanco di questa situazione, mi sembra che sarò costretto a restarci intrappolato per sempre, non vedo via di fuga. Se penso a come sarà la mia vita tra un po' di anni, io me la immagino esattamente come è adesso e questo non mi rende felice.
«Non ci posso fare niente, non avevo idea che tu saresti venuta qui, non posso smettere di vivere la mia vita all'improvviso, mi dispiace». Mantengo un tono pacato, ma dentro di me percepisco un fastidio crescente che devo calmare in qualche modo.
«Stai dicendo che io non ti faccio vivere? Stai dicendo questo?», grida, con le lacrime agli occhi.
«Cosa? No! Ma che dici?».Vorrei difendermi in qualche modo, ma non posso perché a questo punto le sue urla sono diventate l'unico rumore percepibile nella stanza.
«Adesso stai dicendo anche che sono pazza perché mi invento le cose? Tu hai detto che non ti faccio vivere, per te sono solo un peso! Perché mi hai permesso di restare se mi odi così tanto?».
Mi sento impotente, provo a rassicurarla e a dirle che non è vero che la odio, non potrei mai odiarla.
«Non sai nemmeno apprezzare i miei regali fatti col cuore. Sparisci, non ti voglio vedere!».
E poi, più niente. Se ne va al piano di sotto, sbattendo la porta della mia stanza.Almeno mia madre e Lorenzo non sono a casa e non hanno assistito a questa scena raccapricciante.
Quando sento anche il portone d'ingresso sbattere, sospiro e mi butto sul letto, sconsolato e profondamente amareggiato.
Se penso che in questo momento sarei potuto essere in giro per la città con Alice, il peso che porto addosso diventa un po' più fastidioso.
È tutta colpa mia.
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Primo dicembre
ChickLitValerio è insicuro: a causa del suo passato doloroso, ha la costante paura di essere abbandonato e di restare solo. Ogni giorno è costretto a fare i conti con le innumerevoli delusioni che ha ricevuto per tutta la vita, quelle che lo hanno portato a...