15 - LA PROTEZIONE, È SOLO UNA SCUSA PER STARMI VICINA?

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"Un nome è più di una semplice etichetta; è l'essenza di chi siamo e la chiave che apre le porte alla nostra identità."
- Rae Hart

Mia

Appena scesi dall'auto, il freddo pungente di Londra mi colpì come un pugno allo stomaco. L'aria era carica di umidità e un vago odore di pioggia si mescolava con l'asfalto. Feci un respiro profondo, cercando di assorbire l'atmosfera frenetica della città che ci circondava. Non era la prima volta che venivo qui, ma ogni visita sembrava portare con sé un diverso strato di ansia e aspettativa. Jerry camminava accanto a me, il suo passo sicuro e deciso. Non potevo negare che mi infondesse un certo senso di sicurezza, ma c'era anche qualcosa di innegabilmente frustrante in lui. La sua attitudine da guardia del corpo, sempre vigile, mi faceva sentire intrappolata. Mi ero sempre abituata a fare le cose a modo mio, e ora, con lui al mio fianco, sembrava che ogni mia mossa fosse monitorata. Entrai nell'albergo, sentendo il calore avvolgente del foyer che contrastava con il freddo esterno. La hall era elegante, con lampadari di cristallo che riflettevano la luce calda e invitante. Un sorriso di cortesia si dipinse sul volto della receptionist quando le presentai il mio documento. Ma non ero qui per il servizio a cinque stelle. Jonathan si fermò per parlarmi, e io cercai di mantenere il mio sguardo fisso sulla reception, non volendo dare l'impressione di essere nervosa.
<<Hai tutto ciò di cui hai bisogno?>> il tono della sua voce era più serio del solito. Sapevo che si preoccupava per me, ma c'era un confine che non volevo superare.
<<Certo, come sempre>> cercai di mantenere un tono leggero, ma le parole uscirono più taglienti del previsto. La receptionist mi accompagnò alla mia suite, un appartamento spazioso con vista sulla città. Non era il mio stile di vita, ma in quel momento non potevo negare che l'eleganza di quel posto fosse affascinante. La luce filtrava attraverso le ampie finestre, creando un'atmosfera che sembrava in contrasto con i miei pensieri agitati. Con la coda dell'occhio, vidi Jeffrey, seguirmi.
<<Che cosa credi di fare?>> gli puntai un dito contro.
<<Voglio solo assicurarmi che sia tutto ok>>
<<Cosa potrebbe esserci che non va in una camera d'Hotel?>> lo presi in giro.
Seriamente, doveva calmarsi cazzo.
Mi fissò severo, sbuffai e lo lasciai passare. Appena entrati, Jacob si sistemò in un angolo della stanza, con l'atteggiamento di chi sta monitorando ogni mio movimento. Il pensiero mi irritava e mi faceva sentire ancora più in trappola. Non avrei mai voluto dipendere da lui o da chiunque altro. La mia vita era stata un costante tentativo di rompere le catene della protezione e dell'attenzione, eppure ora mi ritrovavo a dover accettare quella situazione.
<<Dobbiamo pianificare i prossimi passi>> disse, rompendo il silenzio.
<<Piani, piani, piani. È tutto quello che fai, Jason?>> alzai un sopracciglio <<Non posso vivere ogni giorno come se fossi in guerra. Ho bisogno di spazio per respirare>>.
Lui mi guardò, il suo sguardo era penetrante. <<Non puoi permetterti di essere avventata. Ci sono forze in gioco che non capisci e io non posso permettere che tu ti metta in pericolo>>.
Sospirai, sentendo l'irritazione salire.
<<E io non posso permettere che tu mi tratti come una ragazzina. Ho affrontato situazioni ben più pericolose senza il tuo aiuto. Perché pensi che ora sia diverso?>>
L'atmosfera si era fatta tesa. Avvertivo la frustrazione di John, e non era così facile da ignorare. La verità era che, nonostante tutto, avevo bisogno della sua protezione. La mia vita era in pericolo e lo sapevo bene, ma ammettere la mia vulnerabilità era qualcosa che non riuscivo a fare. Fissai il panorama di Londra dalla finestra, le luci della città che brillavano come stelle cadute. Avrei dovuto essere felice di essere qui, di avere una nuova opportunità, ma il peso della responsabilità e la paura dell'ignoto mi appesantivano il cuore.
<<Angel, ascolta>> iniziò Jonathan, interrompendo i miei pensieri.
<<Signorina Angel, per te>> sibilai.
<<Voglio solo assicurarmi che lei sia al sicuro>>.
Mi voltai, incrociando il suo sguardo. C'era una fragilità in lui che non avevo notato prima. Era difficile riconoscere che, sotto quella facciata di uomo forte e sicuro, si nascondeva qualcuno che si preoccupava davvero per me. Forse, in un certo senso, eravamo entrambi intrappolati in questo gioco pericoloso, ognuno con le proprie paure e insicurezze.
<<Non voglio mettermi nei guai, ma ho bisogno che tu rispetti i miei confini. Non posso permetterti di controllarmi>> Jared annuì, come se stesse pesando le mie parole.
<<D'accordo, troveremo un equilibrio>>.
La tensione tra di noi si sciolse leggermente e la mia mente tornò a lavorare. Londra era un campo di battaglia, ma con Juan al mio fianco, non sarei stata sola. E, in fondo, c'era una strana consolazione nel sapere che, anche se ci stavamo combattendo a vicenda, c'era un'alleanza sottile e fragile che ci univa.
<<Ho una domanda>> eruppi nel silenzio. Lui mi guardò come a incitarmi.
<<Com'è che ti chiami?>>
Dovevo assolutamente imparare il suo nome.
Sollevò un angolo della bocca.
<<Jonathan>>.
Mentre il crepuscolo scendeva sulla città, sentii che la nostra avventura era appena iniziata.

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