20 - NON POSSO CREDERE DI AVERGLI MANDATO UN MESSAGGIO, PER PRIMA

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"Il sesso è l'incontro di due corpi, ma l'intimità vera nasce quando le anime si riconoscono."
- Rae Hart

Mia


L'aria fresca della notte ci accolse appena uscimmo dal backstage. Le voci dei fan si stavano lentamente spegnendo, sostituite dal fruscio dei passi sulla ghiaia del parcheggio. Tutto sembrava tranquillo. Jonathan camminava accanto a me, in silenzio, con quella solita calma apparente che mi faceva sempre chiedere cosa gli passasse per la testa. Il concerto era stato un successo. Lo dicevano gli applausi, i volti entusiasti, le richieste di bis. Eppure, io non riuscivo a smettere di pensare a quel messaggio. Era come un sibilo costante, una piccola spina nella mente. Falco 17
Quelle parole, che non avevano nessun senso, continuavano a ronzarmi in testa.
<<Va tutto bene?>> mi chiese Jonathan, spezzando il silenzio. Annuii senza guardarlo.
<<Sì, solo stanca. Il solito>>.
Non ero sicura se mi avesse creduto. Probabilmente no. Non me ne curai.
Arrivati all'hotel, ci fermammo davanti all'ascensore. Le porte si aprirono e Jonathan fece un passo dentro.
<<Ti accompagno fino alla stanza>> disse, con una determinazione che mi lasciò senza parole. Non era insolito che si preoccupasse per me, ma stavolta c'era qualcosa di diverso nei suoi occhi. Una tensione nascosta, come se sapesse qualcosa che io ignoravo. Non protestai. Non avevo la forza di farlo, non stasera. Il corridoio del piano era silenzioso, illuminato solo dalle luci soffuse. Il mio corpo chiedeva riposo, ma la mia mente era ancora ancorata a quel messaggio. Quando arrivammo alla porta della mia stanza, Jonathan si fermò.
<<Dormi tranquilla, rimango qui>> lo guardai, sorpresa.
<<Jonathan, non c'è bisogno, sto bene>> lui scrollò le spalle <<lo so, ma preferisco essere sicuro>>.
La sua voce non ammetteva repliche. Mi limitai a fare un cenno di assenso, troppo esausta per discutere. Eppure, non potevo ignorare la strana sensazione che qualcosa fosse cambiato. Forse ero io. O forse era lui. O quel messaggio che aveva trasformato tutto in qualcosa di indefinito, come un'ombra che si allungava oltre la mia comprensione. Mi infilai in camera, lasciando la porta socchiusa dietro di me, mentre Jonathan si posizionava fuori. Mi sedetti sul letto, lasciando che il silenzio della stanza mi avvolgesse. Ma quella pace era solo apparente.
Falco 17
Cosa significava? Perché mi tormentava così?

*

Il silenzio della stanza era assordante. Avvolta dalla penombra, mi ritrovai a fissare il soffitto, incapace di liberarmi di quel pensiero, come se il numero 17 e la parola "falco" si fossero cuciti nella mia mente. Mi passai una mano tra i capelli, cercando invano di scacciare la tensione. Ma niente, era ancora lì, sospeso nell'aria, come un segreto non rivelato. Jonathan era fuori dalla porta. Sapevo che non si sarebbe mosso di lì per tutta la notte e, in qualche modo, quella consapevolezza avrebbe dovuto darmi sollievo. Eppure, non ci riuscivo. C'era qualcosa che non quadrava, qualcosa che mi sfuggiva, come un dettaglio cruciale che continuavo a mancare.
Chi mi aveva inviato quel messaggio? Perché proprio quelle parole? Avevo provato a ignorarle, a convincermi che fossero uno scherzo di cattivo gusto, ma ora non potevo più farlo. Il mio istinto mi urlava che era importante, che quel nome racchiudeva una verità che ancora non conoscevo. Mi alzai dal letto e mi avvicinai alla finestra. Le luci della città brillavano debolmente nel buio, ma non offrivano alcuna risposta. Le ombre sembravano più lunghe, come se nascondessero qualcosa che non ero pronta a vedere. Presi il telefono dal comodino e guardai di nuovo il messaggio. Le parole erano lì, fredde, neutre, eppure così cariche di significato. Mi sedetti sul bordo del letto, il telefono stretto tra le mani. C'era solo una cosa che potevo fare. Aprii la chat con Jonathan e gli scrissi un rapido messaggio.

Sai qualcosa su Falco 17?

Non passò nemmeno un minuto che il mio telefono vibrò con la sua risposta.

Ne parliamo domani.

La sua risposta, così vaga e immediata, mi fece stringere la presa sul telefono. Jonathan sapeva qualcosa. Non voleva parlarne ora, ma lo sapeva. E questo non faceva che alimentare il mio malessere. Cosa stava succedendo? E soprattutto, perché non me lo stava dicendo? Appoggiai il telefono e mi sdraiai sul letto, cercando di costringermi a dormire. Ma sapevo che non avrei chiuso occhio. Non finché non avessi avuto delle risposte.

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