23 - CHE BEL MERCOLEDI' DI MERDA

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"Più forte è il ricordo, più profonda è l'assenza."
- Rae Hart



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Dalla penombra dell'abitacolo, il mio sguardo si spostava senza sosta tra la finestra al quarto piano dell'hotel e lo schermo del laptop. Attraverso il vetro leggermente appannato, Mia si muoveva nella sua camera, il profilo snello illuminato dalla luce del sole che entrava dalla finestra. Era insieme a sua nonna, una donna minuta con i capelli bianchi raccolti in uno chignon perfetto, e stavano discutendo. Non potevo sentire le loro parole, ma i gesti di Mia erano inequivocabili: agitati, nervosi. Qualcosa non andava. Ero in quell'auto da quasi cinque ore, ma il tempo non mi toccava. Era come se ogni minuto fosse scandito dal battito lento e regolare del mio respiro, un ticchettio impercettibile nell'oscurità che mi avvolgeva. Avrei potuto spostarmi più vicino, ma il rischio era troppo alto. Jonathan, la sua guardia del corpo, era un uomo da tenere d'occhio. Alto, robusto, con un'intelligenza fredda e calcolatrice. Adesso era nella hall, lo vedevo attraverso la porta a vetri dell'ingresso, il cellulare incollato all'orecchio, lo sguardo fisso su un punto invisibile davanti a sé. La sua espressione era impenetrabile, ma non sembrava preoccupato. Forse non era nemmeno a conoscenza della tensione che stava montando al quarto piano. Il mio telefono vibrò sul sedile accanto a me, un suono quasi impercettibile che mi fece irrigidire. Risposi senza esitazione.
<<Parla>> sussurrai, mantenendo gli occhi incollati alla finestra.
<<Che succede?>> la voce dall'altro capo era profonda, tagliente. Non avevo bisogno di sentire altro per capire che non c'era tempo per i dettagli.
<<La ragazza è in camera con la nonna>> risposi <<Stanno discutendo, la situazione sembra tesa>>.
<<E Jonathan?>>
<<È nella hall. Sta parlando al telefono. Non sembra che sospetti nulla>> dall'altro lato della linea ci fu una pausa, un momento in cui la mia mente iniziò a correre, cercando di anticipare la prossima mossa. Poi la voce tornò, calma e letale come sempre.
<<Devo sapere esattamente cosa sta succedendo lì dentro. Continua a osservare, non farti vedere. Se qualcosa cambia, chiamami subito>>.
<<Capito>> chiusi la chiamata e rimisi il telefono accanto a me, riprendendo immediatamente la sorveglianza. Non c'era spazio per errori. Il capo era impaziente e io sapevo cosa succedeva quando la sua pazienza si esauriva. Ma c'era qualcos'altro che mi preoccupava, un dubbio che cresceva ogni volta che incrociavo lo sguardo di Mia attraverso quel vetro. Lei sospettava. Non di me, non ancora, ma di qualcosa. I suoi occhi, ogni volta che si fermava vicino alla finestra, sembravano scrutare un punto preciso, come se sapesse di essere osservata.
E forse lo sapeva davvero.

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