Prologo

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La morte non ha un odore, eppure, quando Mary Stanford varcò la soglia della camera da letto dove la madre giaceva in fin di vita, lo sentì. Era un odore che non avrebbe mai dimenticato: di cose antiche, di cose sopite, di pulviscolo, di fiato trattenuto, di penombra, di terra bruciata.

Il medico era uscito da poco, le aveva fatto l'ennesimo salasso che aveva contribuito a lasciarla esanime, senza forze. Mary si inginocchiò accanto al letto e le prese la mano. Era fredda e tremava, se la portò alle labbra e la baciò più volte.

"Vuoi infondermi la vita?" le disse la madre strappandole un sorriso.

"Magari fosse così semplice, madre".

Avevano gli stessi capelli neri e gli stessi occhi dorati, le avevano scambiate spesso per sorelle, perché la madre aveva appena quarant'anni.

"Devo darti una cosa prima" le disse. Aveva la fronte imperlata di sudore. Mary si affrettò a nettarla con il fazzoletto.

"Prima di cosa?" Le chiese.

"Lo sai. Ma io sono pronta, non ho paura di lasciare questa terra. È una mia scelta".

Quella frase le sarebbe tornata in mente tante volte nella sua vita, ma in quel momento le suonò semplicemente strana, la attribuì al vagheggiamento di una mente sconvolta.

La madre frugò nella tasca della camicia da notte e tirò fuori una chiave.

La chiave apriva un baule, l'unico che era sigillato con un pesante lucchetto.

"Aprilo dopo la mia morte" le disse la madre.

Mary si distese accanto a lei. Sorvegliava il suo respiro e ogni tanto le accarezzava il viso. Quando arrivò la sera, accese tutte le lampade e le candele, nel tentativo di lasciare fuori le tenebre.

Ma la morte non temeva la luce ed entrò a mezzanotte in punto. E si portò via il suo bene più caro. 

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