Un giorno scoppiai in lacrime in classe. Mi sentivo persa, vuota. Mi mancava Ariel. Mi mancavano i momenti insieme. Mi mancava tutto di lei. E continuavo a vederla ovunque. In qualsiasi oggetto, posto o canzone.
Erano passati giorni da quando ci eravamo sentite e decisi di scriverle prima di andare a pallavolo. Le chiesi di vederci per parlare e accettò.
Le spiegai un po' la mia situazione, ma continuava a ripetere che non se la sentiva e che stava bene senza di me.
Passai un'ora e mezza con la continua sensazione di dover piangere e lo feci arrivata a hip hop. Fortunatamente il mio istruttore si accorse che stavo trattenendo le lacrime, che stavo male, e mi consolò. Dopo essermi ripresa mi sfogai ballando.La sera, tornata a casa, decisi di mandarle la lettera e mi rivelò di averle fatto scendere qualche lacrimuccia.
Disse che non sapeva se affrontare la discussione in chat quella sera o in presenza, ma il giorno dopo non ci saremmo potute vedere a scuola perché si sarebbe assentata. Perciò decise di scrivermi tutto. Continuava a ripete che finalmente stava bene, che era andata avanti e che non riusciva a vedermi più come prima, ma quando le iniziai a fare domande per avere una risposta più ferma prese a rispondermi “non lo so”.Così, le diedi del tempo e decidemmo di riparlarne in presenza nei giorni successivi. Ma il giorno dopo fu un inferno per me. Scoppiai nuovamente in lacrime davanti a tutti a scuola e il professore, il bidello e la tirocinante furono così carini con me. Sentivo che tutto in me stava crollando. In più ciò non mi faceva concentrare nello studio e avrei dovuto recuperare alcune lezioni di molte materie. Quel giorno non la sentii. Non le scrissi per non sembrare assillante e darle il tempo necessario.
Ma il giorno dopo non resistetti.
Le chiesi in chat come andasse, mi disse che stava per scrivermi e che voleva vedermi per parlare in corridoio.
Ci vedemmo per dieci minuti e cominciò a ripetermi tutto ciò che disse in chat. Ero sul punto di piangere e anche lei. Provai a dirle quello che provavo veramente, che mi mancava e che ero disposta a ricominciare piano piano da capo. Non fui in grado.
Mi disse che doveva tornare in classe e mi abbracciò. Durò più del previsto e le lacrime erano sul punto di scendere. Percepii anche in lei questa sensazione. Le sussurrai un lieve “scusa” e scappai via.Ma non ero ancora soddisfatta. Le volevo dire i miei sentimenti, non per farle cambiare idea ma per buttare fuori tutti i miei pensieri. Le chiesi di rivederci una mezz'oretta all'uscita e accettò.
Sputai tutto quello che tenevo dentro sentendo il petto più leggero.
Le dissi che era tutta colpa mia se tutto era finito. Che se ero stata una stronza era perché non riuscivo ad accettare me stessa, i miei sentimenti e la situazione.
Le dissi più volte che non era la vera me quella versione, io ero sempre quella dei primi mesi, quella che guardava con gli occhi luccicanti per l'amore. Perciò non doveva vedermi in quel modo. Non doveva vedermi come la stronza che mi ero mostrata. Le dissi che mi dispiaceva di aver accettato tutto solo in quel momento. Le ripetei più volte che mi mancava e che provavo dei sentimenti per lei. Che ero disposta a ricominciare da capo, mi bastava solo poterla sentire e non mi importava di baciarla. Volevo solo sentirla di nuovo vicina.
Le dissi che se aveva paura di soffrire ancora era normale, ma non sarebbe stato così se mi avesse dato un'altra possibilità. Che era colpa del mio non saper comunicare per via del trauma lasciato da Jane. Non volevo risultare assillante e paranoica.
Non potevo credere che lei non provasse più nulla guardandomi, che non le mancassero quei momenti e che non sentisse nulla ripensandoli. Avevo capito di provare qualcosa per lei quando la vedevo ovunque, quando mi sentivo vuota, quando desideravo averla al mio fianco, quando la persi. Quando ormai era troppo tardi perché lei era andata avanti.Dopo aver buttato tutto fuori ebbi la mia risposta. Dovevo andare avanti.
Nel pomeriggio chattammo riflettendo e approfondendo alcune cose che ci eravamo dette e mi sentii stranamente bene. Mi mancava chattare con lei. Ma la sua decisione non variò.
Cominciammo a parlare anche di gatti, conigli, collettivo, scuola e una serie di cose “normali”. Decidemmo di provare a rimanere amiche.
Mi stava bene essere sua amica. Non nascondo, però, che dentro di me quello era un modo per ricominciare da capo con lei. Eravamo tornate all'inizio e magari i suoi sentimenti così sarebbe ritornati. Le dissi che qualsiasi cosa le passasse per la testa avrebbe dovuto dirmela. Perché dentro di me c'era ancora quella speranza di un noi.Decisi di concentrarmi su me stessa, lo studio, gli amici e tutto ciò che mi faceva stare bene. Mi misi in testa di essere sua amica e di scriverle quando mi andava per cazzate. Ma decisi anche di essere brava a nascondere quella speranza che lei potesse tornare da me. Promisi che non ci avrei riflettuto più di tanto perché se una cosa era destinata ad accadere sarebbe accaduta. Se eravamo destinate a stare insieme saremmo state insieme. Ma in tutto ciò avrei dovuto dare l'impressione di essere andata avanti, di aver cancellato quel desiderio di averla accanto a me e di stare veramente bene.
Ciò lei non l'avrebbe mai dovuto sapere, altrimenti si sarebbe sentita forzata. Misi da parte quel briciolo di speranza senza farlo spegnere, così se avesse cambiato idea, anche se sembrava essere andata avanti, sarei stata disposta ancora a riporvarci. La volevo così tanto. La amavo.
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The life of any teenager
SpiritualitéQuesto è un racconto INVENTATO su un'adolescente come tutti gli altri, ma allo stesso tempo diversa. Alcuni potrebbero invidiare la sua vita, mentre altri provano compassione per lei. Si chiama Alaska Niltson, la sua vita spensierata è finita all'e...