Un briciolo di speranza

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Purtroppo ciò che pensavo non accadde. Anzi accadde il contrario. Ary la stava iniziando a superare dopo essere stata male, invece io no. Credevo che ci avrei messo meno tempo e che sarebbe stato più difficile per lei. Ma a quanto pare non fu così.
Mi stavo solo convincendo di non provocare nulla. Stavo solo mentendo a me stessa e a lei. Sapevo che la mia incertezza l'avrebbe fatta soffrire di più perché mi convinsi a darle una risposta. Quella risposta era no.
Ma forse non era quella vera. Forse avevo bisogno di tempo per metabolizzare tutto, per capire i miei sentimenti. Però continuavo a ripetermi che dovevo darle una risposta senza tenerla ancora nella mia confusione.

Pensai che l'avrei superata facilmente. E sembrò essere così nelle due settimane in cui non la vidi. Però, quando un mercoledì andai a pallavolo e c'era lei, tutto si capovolse. Passai due ore con la costante sensazione di stare per scoppiare a piangere. Ero all'orlo. Decisi di andarmene prima e non la salutai. Non riuscii perché, anche se l'unica cosa che avrei voluto fare era abbracciarla, non potevo permettermi di esplodere davanti a tutti. Decisi di chiamare Rachel. Fu la prima persona che mi venne in mente perché era quella più disponibile. Avevo bisogno di scoppiare in lacrime tra le braccia di chiunque.
Andai a casa sua e trovai anche Jack, ma non era un problema. L'unico problema era la madre di Rachel.
Perciò decisi di trattenermi ancora.

Parlammo in po' e mi chiesero come fosse andata a pallavolo, cercai di essere il più indifferente possibile anche se dentro sentivo crollare tutto.
Risposi che era andato tutto bene, ma non era affatto così. Notai tutti i suoi atteggiamenti in quelle due ore. Le sue risate con le amiche, la mancanza di quel contatto visivo che mi faceva tremare ogni volta, la sua indifferenza, il modo in cui pronunciò il mio nome per chiedermi l'orario che mi fece trasalire e una lunga serie di cose. Realizzai che lei stava andando avanti. Tutte le menzogne dette a lei, ai miei amici e a me stessa stavano funzionando. Ero riuscita a farmi odiare per levarmi dalla sua testa. E questo avrebbe dovuto fare nascere in me un senso di gioia, ma nacque solamente una profonda sofferenza. Percepii il mio cuore aprire quella cicatrice che era riuscito a chiudere da mesi. Non capivo perché stessi così male, alla fine era quello che volevo, no? O forse no?

Quando decisi di andarmene abbracciai Rachel per salutarla e sentii le lacrime farsi vive perciò mi staccai e andai ad abbracciare Jack più velocemente possibile in modo da non scoppiare. Ma in quell'abbraccio era come se lui comprese il dolore al mio interno e i miei occhi erano colmi di lacrime, come un mare in tempesta pronto ad inondare la spiaggia.
Finito l'abbraccio mi voltai immediatamente verso la porta, ma lui mi girò tirandomi dal braccio e mi chiede se stessi bene.

‘No, non sto affatto bene, sto crollando ed è tutta colpa mia. È stata colpa mia fin dall'inizio e ora ne sto subendo le conseguenze’ pensai, ma mi limitai a dire:

«Sì, tutto ok» per poi voltarmi nuovamente.

Ma Jack non fu convinto da quella risposta, così mi tirò di nuovo verso il suo petto per abbracciarmi e ricambiai. Quando Rachel si avvicinò la feci unire e in quel momento sentivo di non riuscire più a reggere. Quell'abbraccio sembrò durare un'eternità, piena di compassione e dolore.
Quando Jack si staccò puntò i suoi occhi sui miei e capì tutto. Perciò decisi di andarmene il prima possibile a hip hop e mentre camminavo pensai che avevo bisogno di liberarmi. Così decisi che arrivata in palestra sarei scoppiata davanti l'istruttore. Sapevo che lui mi avrebbe di sicuro aiutata e sorrisi lievemente al pensiero di rientrare in quella sala dopo un mese che non andai più a danza. Ma, purtroppo, arrivata là trovai un sostituto.

Allora decisi di concentrarmi a ballare e mettere da parte tutto, come facevo sempre. E quando ci diede la pausa andai a bere per poi prendere un attimo il telefono. Ma forse era meglio non farlo perché trovai quella notifica che mandò tutto all'aria.

«Potevi salutare comunque»

Rimasi ad osservare il messaggio immobile, mentre il mio cuore prese a battere rapidamente e ritornò quella sensazione che ero riuscita ad abbandonare per mezz'ora. Lasciai il telefono a terra, ma per sbaglio fece tanto rumore e le altre se ne accorsero. Sembrava che lo avessi lanciato apposta.
Mi tolsi la felpa per il caldo e provai a concentrarmi nella coreografia. Ciò però non accade, non riuscivo a memorizzare i passi e mi arrendevo subito alla prima ottava. Quel messaggio rimbombava nella mia testa dandomi il tormento.
Cosa dovevo rispondere?

Tornata a casa continuai a pensarci e le risposte erano due.
Quella più facile era la bugia, dirle che ero di fretta, ma avrebbe capito che era una scusa.
L'altra invece era la verità. Dirle di come quelle due ore per me furono pesanti, della sensazione che provavo costantemente quel giorno, di come stessi mentendo ad entrambe, del mio piano per farmi odiare.
E da una parte le avrei voluto dire tutto ciò, ma non volevo. Volevo solo che lei andasse avanti e se per farlo doveva odiarmi mi stava bene. Anche se mi avrebbe fatta stare male.
Perché io in realtà non ero mai stata la cattiva, la stronza. Nessuna delle due lo era. Eravamo entrambe vittime. Lei era vittima del suo forte amore che aveva già chiaro. Io ero vittima della confusione per i miei sentimenti e il mio orientamento sessuale.

Decisi di dirle la verità, ma non tutta. Non potevo dirle che rivedendola quel giorno avevo capivo che in me quella speranza in un noi era ancora viva perché non sarebbe più andata avanti. Invece doveva farlo senza di me.
Ovviamente la mia risposta la fece confondere. Chattammo un po' e ci furono dei flashback che mi fecero sorridere:

«Troppo diverse»
«Neanche Simone e Manuel stanno insieme ancora»
«La telepatia c'è ancora»
«13:13»

E, infine, mi mandò un tik tok di Simone e Manuel che ci rappresentavano completamente anche in quella situazione:

«In un'altra vita, Manu?»

«In un'altra vita, Simò»

Quando lo vidi finalmente riuscii a cedere un paio di lacrime, ma non scoppiai ancora. Quanto avrei voluto dirle che quel video eravamo noi. Che in me la speranza di riprovarci c'era ancora. Che non era mai stata spenta, era solo stata nascosta.

«Comunque sì dai, in un'altra vita» tentai di farglielo capire con questa risposta, ma probabilmente non funzionò.

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