Adeline Evans, una ragazza con un passato difficile, ormai ha imparato a sopravvivere, mascherando le sue fragilità.
Tutto cio che le rimane è la mamma e suo fratello, Kai, insieme al loro gruppo di amici.
Tutti loro, sono legati da passati complic...
Non sempre si annega nell'acqua. A volte si resta senza aria affogando nei pensieri, nei ricordi, nelle parole mai dette. -Lune
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Ivy's pov
Erano passati nove giorni. Nove giorni dal giorno più brutto della mia vita, o almeno uno dei tanti. Forse la mia vita era sempre stata così, un insieme di momenti bui, con qualche spiraglio di luce che si spegneva sempre troppo in fretta.
Mio padre era morto nove giorni prima. Nove giorni. Faticavo ancora a crederci. Non riuscivo a dirlo ad alta voce senza sentire un nodo alla gola. Nemmeno a pensarlo senza che lo stomaco mi si chiudesse. Senza di lui non sarei riuscita a vivere.
Soprattutto adesso che, la custodia era passata a mia madre.
All'inizio si era comportata bene. O almeno, così sembrava. Mi ero illusa. Lo so che è assurdo, ma avevo davvero sperato che dopo tutti quegli anni sarebbe stata diversa. Per qualche giorno era stata presente, quasi affettuoso, ma era durata pochissimo.
Poi, come se si fosse rimessa una maschera troppo familiare, che ricordavo ancora bene, aveva cominciato a chiudermi dentro una gabbia invisibile.
Aveva iniziato con piccoli limiti, come ad esempio non uscire, usando la scusa del dolore dopo la morte di mio padre. Dopo il funerale, ero uscita solo una volta. Ero andata a trovarlo al cimitero, ma faceva troppo male vedere il suo nome sulla lapide. Sentivo il cuore come se stesse per esplodere. Lei non aveva chiesto come stessi. Non una parola. Non uno sguardo sincero.
Poi, come se non bastasse già il dolore che sentivo dentro, aveva cominciato a isolarmi dal mondo, non mi permetteva contatti con l'esterno. Non mi spiegava perché. Diceva che era per il mio bene, ma lo diceva con uno sguardo strano, come se nemmeno lei ci credesse. Controllava addirittura il mio telefono. Aveva paura che raccontassi a qualcuno ciò che succedeva in casa. Ma nemmeno io riuscivo a capirlo del tutto.
Non riuscivo nemmeno a chiamarla "mamma". Ogni volta che ci provavo, qualcosa si bloccava dentro di me. Dalla mia bocca usciva solo "Madison". Come se fosse diventata un'estranea. Come se non lo fosse già stata da tempo.
Era instabile. Imprevedibile. Lei non era guarita, i segnali erano gli stessi di anni fa. Una notte mi ero svegliata e l'avevo trovata in piedi accanto al mio letto. Fissava il mio viso nel buio, senza muoversi. Quando le avevo chiesto cosa stesse facendo, aveva risposto con voce piatta, fin troppo calma: "Volevo solo controllare che andasse tutto bene." Lo stesso sguardo, lo stesso tono, proprio come nei giorni successivi alla morte di mio fratello.
Mi sentivo prigioniera, ma anche invisibile. Sola, nel momento in cui più avevo bisogno di qualcuno, di un amica, ma allo stesso tempo, sotto costante sorveglianza. Ogni mio movimento, ogni parola, ogni respiro, tutto sembrava disturbare un equilibrio fragile che lei cercava disperatamente di mantenere o di controllare.