CAPITOLO 1

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Sono passate esattamente 14 ore 28 minuti e 18 secondi da quando ho salutato i miei genitori, mia sorella, le mie amiche, il mio cane, il mio gatto e il mio fidanzato (sì in questo ordine).

E ora sono qui, dall'altra parte del mondo in un paese sconosciuto, in un aeroporto che sembra senza fine, sola e con lo sguardo terrorizzato! A farmi compagnia c'è solo questa stupida valigia rosso ciliegia con disegnata una mega testa di gatto Silvestro. Beh, sicuramente non rischio di perderla o che me la rubino visto che scarseggia di bellezza. Sono appena scesa dall'aereo dopo ben 12 ore di volo infinite e ora mi sento come se fossi in un mondo parallelo: pensavo di aver perso l'uso delle gambe visto che, durante il volo non mi sono potuta alzare per più di cinque minuti per colpa di quelle stupide hostess che sembrava che facessero apposta a farsi trovare in mezzo con il loro stupido carrellino con quello stupido termos di caffè (sappiamo tutti che realmente è acqua colorata) per evitare che i passeggeri potessero sgranchirsi le gambe.

Mi guardo intorno e realizzo: sono in America, sono in California. Sono nello stato dei sogni e della vita da favola, sono nello stato delle scoperte scientifiche più importanti a livello medico (solita secchiona) e lo stato dal mare cristallino, pieno di surfisti e di squali, e di squali che sbranano i surfisti. Ancora non ci credo!

La prima cosa che devo fare è chiamare un taxi e raggiungere i dormitori e da lì il mio appartamento, sarà come quei film americani? Che ti butti in mezzo alla strada per farli fermare? A essere sinceri, sono anche costretti a farlo a meno che non ti vogliano imbarcare e farti fare un giro panoramico sul cruscotto.

Mi avvio verso l'uscita mentre mi sistemo la gonna color panna a vita alta che mi arriva sopra il ginocchio, ho optato per un look semplice, per farmi dodici ore di aereo: ho abbinato una canottiera bianca aderente e dei sandali gioiello (favolosi). I miei lunghi capelli castani sono legati in una coda alta e un fiocco bordeux completa l'acconciatura. I miei occhi color nocciola sono coperti da un maxi paio di occhiali che oltre a ripararmi dalla luce, mi danno un aria più sicura di me, nascondendo lo sguardo terrorizzato che in realtà ho.

Arrivata all'uscita mi sbraccio per far fermare un taxi, quando realmente non c'è n'è bisogno visto che ce ne sono una decina fermi ad aspettare. Mi dirigo verso il più vicino che mi fissa senza dire niente al che, per evitare di rimanere lì fino al giorno dopo a fissarci, gli passo la mia valigia che, anche lui, guarda con una faccia schifata. Deve essere il mega naso rosso del gatto a provocare questo effetto.

Salgo nel taxi e il tassista in un americano quasi incomprensibile mi chiede la destinazione " all'università di Berkeley per favore", mi fa un segno affermativo e avvia il tassametro. Sono le 8.35 quindi dovrei arrivare per le nove e mezza, ritirare le chiavi in segreteria insieme al programma e quindi forse per le undici dovrei aver trovato l'appartamento. Per tutta la durata del viaggio, comincio a programmare ogni minima cosa che dovrò fare durante la giornata: sono sfinita e inizio a sentire i primi sintomi del jet-leg e la giornata è appena iniziata.

Mentre sono persa nei miei pensieri mi squilla il telefono, leggo e lampeggia la scritta "amore". Un ondata di tristezza, panico e rabbia seguita dal senso di colpa mi affiora dentro. Rispondo, "pronto Amore!" " ciao Isa, è quasi mezzanotte qua in Italia! Ti ho chiamato per sapere come è andato il volo" sospiro " bene Marco, stancante ma alla fine ho dormito per la maggior parte del tempo, ora sono in taxi e sto andando verso l'università" nel frattempo il tassista mi manda occhiate incuriosite come se stessi parlando in aramaico: ehi bello, sono italiana! Pizza, pasta e colosseo hai presente? Sbuffo e riprendo ad ascoltare il mio ragazzo " e quindi alla fine i conti tornavano perché se ci pensi il cliente alla fine ha fatto ricorso senza essersi informato!" eh? Ma che sta dicendo? Il cliente? " scusa Marco non ti seguo. Sono un po' stanca" lo sento che sospira spazientito " è arrivata l'ora che tu ti sveglia Isa, ora sei dall'altra parte del mondo da sola, devi tenere la testa sulle spalle e .." bla bla bla bla. Io dico, ma perché quel maledetto giorno di 6 anni fa ho accettato di uscire con lui? Ah si, certo, era la mia cotta adolescenziale. A volte, sembra mio padre! Ah no, scusate, mio padre è molto più giovanile di lui nei modi di fare. Riprendo ad ascoltare " il servizio sanitario americano è diverso dal nostro e quindi..." spengo di nuovo il cervello. Qualche volta mi sento in colpa, un minimo, poco poco. Perché non se lo merita in fondo. Marco è la persona più egoista, superficiale e stronza della faccia della terra.

Si,si, sto parlando del mio ragazzo, quello con cui sto da sei anni, quello con cui ho un attività sessuale pari a due pensionati, quello con cui i miei parenti e specialmente i suoi mi vedono nel prossimo futuro a fare la famigliola felice e a sfornare nipoti come fossero pizze; mi prende i brividi solo a pensarci. Il ragazzo che mi ha fatto perdutamente innamorare di lui, i primi due anni e poi ha cominciato a trattarmi sempre peggio: offese, giudizi e prese in giro. Mi fa spesso sentire una fallita, una bambina che non ne sa niente della vita, mentre lui è la persona del NON-SAI-QUALCOSA?-IO-LO-SO-SICURAMENTE oppure del SAI-QUALCOSA?-BE-IO-LA-SO-SICURAMENTE-MEGLIO.

Io sono la persona più romantica di questo pianeta e in tutti questi anni i complimenti, le parole dolci ricevute si contano sulle dita della mano. Le mie amiche mi chiedono continuamente perché io ancora mi ostini a starci insieme. La risposta? non la so neanche io. O meglio, non è amore perché se c'era a forza di non considerarmi e trattarmi come una menomata mentale beh, è sicuramente evaporato tutto.

L'unica spiegazione possibile che mi so dare è l'abitudine, lui è sempre stato presente nella mia vita: da quando andavamo all'asilo fino al terzo anno delle superiori è stato uno dei miei più grandi amici. E io, fin da piccola ho sempre sperato che un giorno quel ragazzo di un anno più grande di me, si accorgesse di provare qualcosa anche lui per la piccola amichetta che gli era sempre accanto.

Il miracolo è arrivato e dopo due anni dove mi sentivo la ragazza più fortunata del mondo, ad oggi, dopo 6, mi sento come in una gabbia. Se vado a fondo nei miei sentimenti so per certo che il coraggio di venire in California, la spinta finale insomma, è stata data proprio dalla voglia di evadere, di staccare dalla routine, da lui e da tutto ciò che mi circondava.

Fingo di essere quasi arrivata: " Marco, amore mio, scusami ma sono praticamente arrivata. Dobbiamo sentirci domani a questo punto e poi ancora devo chiamare i miei o penseranno che sono dispersa!" " Isa li chiamo io tranquilla!" ribatto " no, Marco, devo chiamarli io! Sono io la loro figlia non tu, ricordi? E poi... volevo ringraziare mia mamma... la gonna che mi ha consigliato di mettere per il viaggio si è rivelata molto più comoda di quei jeans!" rido al pensiero di mia mamma che sembrava prossima a un' ALTRA crisi di pianto isterica solo perché volevo mettere dei jeans per il viaggio anziché la gonna che mi aveva proposto lei! Tutta una scusa per continuare a piangere e a disperarsi perché si rendeva sempre più conto che per i prossimi 6 mesi e cioè fino alle vacanze di Natale non potrà vedere la sua piccolina (cioè io) ed è stata per circa una settimana a girare per casa come uno zombie e a lasciare una scia di fazzoletti usati in ogni angolo possibile. Era l'immagine di una donna disperata!

"ah, hai messo una gonna. Come immaginavo.. Sempre la solita, è inutile! Devi sempre trovare il modo di essere fuori luogo e farti notare" COSA SCUSA? Io farmi notare? Sono la persona più monotona del pianeta e mi ritrovo sempre a far di tutto per non farmi notare e stare dietro le quinte. Però si sa, per lui mettere un vestito o una gonna o, andare in giro in tanga, non c'è nessuna differenza. Non è la prima volta che discutiamo di questa cosa, anzi sarà la miliardesima volta, infatti ho smesso di mettere tacchi e vestiti corti in sua presenza (quindi sempre) per evitare inutili discussi che portano solo a me che urlo e piango come un isterica e lui che mi chiede scusa e mi consola maledicendosi di essere così stronzo.

" Marco... mmm.. davvero.. non ho voglia di mettermi a discutere con te anche dall'altra parte del mondo. Ora devo andare. Ci sentiamo il prima possibile, un bacio." Sento che sospira " si, scusami, sono stanco anche io. Un bacio anche a te." Un attimo di Silenzio " ah...Marco? Ti amo" Sento che sorride mentre sta facendo già altro "anche io".

Stacco il telefono e lo butto in borsa. Sarà una giornata molto, molto lunga. Mi giro e vedo il tassista che mi fissa con sguardo compassionevole: ma che vuole? " che cavolo guardi? pensa a guidare e a non ammazzare nessuno!" gli sbotto in faccia, in italiano logicamente. Mi guarda e ride anche se non ha capito una mazza di quello che gli ho detto. Forse pensa anche lui che sia pazza e avrebbe pienamente ragione: sono arrivata in uno degli stati più belli al mondo, il mio sogno fin da bambina e mi ritrovo con un muso che mi batte sul tappetino della macchina. Ha ragione lui, devo essere felice e supercarica per questa nuova avventura della mia vita, così rido anche io e lo guardo. Hai ragione tassista schizzofrenico ai miei problemi ci penserò più tardi. Ora mi giro e mi godo la vista dal finestrino.

io, te e l'infinito #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora