First Test

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«Si comporta...normalmente.»
Il dottore controllò le scartoffie che aveva in mano, dove c'era scritto il comportamento che assumeva la ragazza nei vari momenti della giornata.

«Si caccierà nei guai, ne stia sicuro, Filippovič.»
Sghignazzò la senatrice.

«Lo so, sono quasi tutti scagnozzi di 1247, ed è per questo che dobbiamo essere pronti ad aiutarla!»
Lucas gesticolò parlando con Niall.

«Ma quanto ti interessa questa ragazza?»
Ironizzò l'irlandese.

E in effetti era vero, perfino Lucas ammetteva di essersi particolarmente interessato a Broker.

«Non te ne sarai mica-»

«No.»
Ruggì Lucas, non facendo nemmeno finire la frase all'altro ragazzo.

Nessuno aveva il diritto di dirgli cosa gli piacesse, o cosa dovesse fare.
Non era più un bambino di sette anni, che non sapeva controllare le emozioni. Come quando la senatrice gli disse che sua madre era morta, uccisa da quelli come lei.

Glielo aveva detto così, senza mezzi termini.

Niall si alzò dalla sua sedia, facendola strisciare per terra e provocando un rumore stridulo. Poi si alzò.
«Amico, era solo una domanda, non c'è bisogno di incazzarsi.»

Gli passò accanto, camminando in modo deciso e facendo arrivare a Luke un'ondata d'aria, quasi fosse uno schiaffo.

Alzò la testa.

La campanella appena suonata indicava l'ora di pranzo.

Era incredibile quanto le altre persone, lì dentro, fossero abituate a distinguere il momento in cui dovevano finire ed iniziare le varie attività tramite un suono, per giunta sempre uguale.

Era l'ora di pranzo, pensò, considerando che quel giorno si era svegliata e aveva visto degli uomini andare verso la presunta mensa, per fare colazione.
Presunta perché lei aveva preferito starsene da sola a rimuginare sugli ultimi tempi, piuttosto che riempirsi lo stomaco, se poi avrebbe buttato di nuovo tutto fuori sentendo solo le parole dei carcerati che le avevano puntato gli occhi addosso.

Nelle notti però, mentre molti avrebbero dovuto dormire, lei sentiva parlare di un certo 1247, che presunse essere Trevor.

L'uomo calvo che l'aveva portata lì, l'aveva sicuramente presa in giro sul fatto di quest'uomo, cioè che di lui poteva fidarsi, e da quanto ne sentiva parlare era molto conosciuto, nella sezione alfa.

Le bruciavano gli occhi in un modo terribile, e che la chiamiate stanchezza o semplicemente dolore, non fa differenza, perché lei si trascurava talmente tanto in quei giorni da non voler nemmeno lontanamente distinguere le emozioni che provava, che, sicuramente, erano tutte negative.

Decise, pensando a ciò che le avrebbe detto Laze -e sorridendo ricordando la madre-, di provare a mangiare.

Aprì il cancelletto della sua stanza, guardandosi un po' intorno.

Seguì la massa, sfociando nel corridoio, dove si raccoglievano tutti.

Venivano perquisiti da delle guardie, per poi entrare, se non avevano con sé oggetti pericolosi.

Si guardò intorno, avanzando man mano che gli uomini venivano perquisiti, e non curandosi della gente che la circondava.

Guardava il tetto, constatando che se avrebbe dovuto scappare, sicuramente tre mesi li avrebbe dovuti impiegare per pianificare e studiare tutto.

Quando arrivò davanti alle porte, un agente abbastanza giovane la squadrò. Poi sorrise maliziosamente, prima di perquisirla spudoratamente, e toccando ogni parte del suo corpo senza ritegno. Ma lei non se ne curò e rimase calma.
«Buon pranzo, dolcezza.»

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