Flashback

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Il nero visitatore si guardò attorno, furtivo. La pioggia scrosciava dai tetti, confusa all'ululato del vento. Doveva portare a termine la sua missione e la tempesta era un valido aiuto. Si avvicinò ad un'abitazione e adagiò il fagotto davanti alla porta prima di suonare.

Il signor Biliocchi udì il campanello e andò ad aprire. Non vide nessuno e rimase perplesso qualche istante.

«Ma chi è che si diverte a fare scherzi del genere con un tempo simile?» chiese la moglie, raggiungendolo.

Un vagito attirò la loro attenzione e abbassarono gli occhi: c'era un bambino frignava dentro una culla davanti all'uscio. La donna lo prese in braccio, notando una scritta: Donoel.

I primi giorni valutarono se denunciare o no il ritrovamento, ma decisero di non farlo per paura decidendo di adottarlo. Se la vera madre l'avesse cercato l'avrebbe trovato da loro. Gli anni passarono ed il bambino cresceva, tenendo spesso tra le dita due piccoli cilindri che erano nella culla. A tre anni la madre gli regalò un piccolo robot. Voleva farglielo trovare vicino al lettino, al posto di quei consumati cilindretti dalla superficie ruvida e irregolare, che buttò nella spazzatura.

Il giorno dopo ebbe un grave incidente e durante le notti in ospedale fece strani sogni che riferì al marito.

«Ho sentito una voce che mi diceva di non separare mai Donoel da quei cosi... perché prima o poi lo perderemo... io ho gridato che Daniele era nostro!».

I due cilindri furono ritrovati accanto al figlio, e i genitori si spaventarono terribilmente, ma decisero di non pensarci.

Quando Daniele ebbe cinque anni accadde la tragedia.

Il padre lo sgridava spesso e una volta gli diede uno schiaffo piuttosto forte, gettando i due oggetti dalla finestra. Il giorno dopo si sentì male e dovette mettersi a letto. Delirò e anche lui udì la strana voce. La situazione divenne insostenibile.

«Io non ce la faccio più! Tutto ciò deve finire! Non sopporto che mio figlio sia succube di un maleficio!» gridava la madre, «Non è possibile che non possiamo separarlo da quegli oggetti maledetti!».

«È inutile, lo sai!» aveva risposto il marito.

«Preferisco morire cercando di strappare mio figlio al suo destino, piuttosto che vederlo schiavo di una forza oscura!».

«Come fai ad opporti al suo destino?».

«Mi oppongo, maledizione, mi oppongo!».

La donna era scoppiata in lacrime. Il marito aveva cercato di abbracciarla, ma lei si era scossa, precipitandosi nella stanza di Daniele come una furia, aveva baciato il figlio afferrando i due cilindretti ed era fuggita.

«Lo faccio per il tuo bene!» gli aveva gridato, correndo tra le scale, per prendere la macchina.

Il marito l'aveva inseguita in moto, senza casco, gridando a squarciagola ma era stato inutile. Lei era corsa fino alle montagne, su strade sterrate, e ancora su, a fianco di pareti rocciose all'altezza delle nevi. Si era arrestata abbassando il finestrino e sporgendo il braccio e aveva gettato i due cilindretti nel burrone. L'uomo era giunto dall'ultima curva, dopo aver oltrepassato un gregge di pecore che l'aveva bloccato, e l'aveva vista trionfante.

«Ce l'ho fatta! Si disintegreranno precipitando!» gridava.

L'auto ebbe un improvviso sussulto. Era ancora in moto. La donna pestò il freno prima di capire cosa stesse accadendo, l'abisso che mugghiava di vento, e gridò, cercando di aprire la portiera. Il volto sfigurato dall'orrore, gli occhi imploranti, l'uomo la vide cadere giù e rimpicciolire, la sua vita che svaniva, l'auto che si infrangeva contro le rocce fredde più in basso. L'esplosione era giunta attutita, ma il rimbombo lo accompagnò per anni.


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