Capitolo 5: Astropiramide

31 2 0
                                    

I DUE PICCIONCINI

Peter usci dalla tenda e il Sole lo abbagliò.

Dovette chiudere gli occhi mentre una folata d'aria calda lo sferzava sulla faccia. Tornò ad aprirli e guardò il deserto con ammirazione, l'infinito tra le dune e il vento che ne tracciava i contorni nel ribollio della polvere.

L'immobile mare si estendeva tutt'attorno, i monti scomparsi nel fuoco da millenni, le onde che frantumavano pietre per sputarne i detriti, le nubi bevute in un ventre di roccia oltre i profili del miraggio.

Era felice.

Il professor Leoni stava per rivelare al mondo la sensazionale scoperta. In quegli anni avevano lottato, difeso sogni e speranze davanti a tante, dolorose sconfitte e quante volte si erano trovati dinanzi a muri, binari morti, false piste, soffrendo l'opposizione e la derisione del mondo accademico? Stavolta ce l'avevano fatta, c'erano prove enormi e tutti avrebbero dato loro ragione.

Guardò la piramide, scuotendo il capo vigorosamente.

Il cielo era terso, l'ululante tempesta di sabbia della notte, secca e feroce, era scomparsa. S'era abbattuta sul campo con violenza, minacciando di portarselo via, ma ora il cielo era sgombro.

L'umanità non sarebbe stata più la stessa: avrebbe conosciuto il proprio nuovo passato ed il futuro sarebbe apparso antico.

La conoscenza era importante, la condivisione di un patrimonio di concetti e astrattezze oltre il tempo, che coglievano l'universale: la scienza, lo sforzo collettivo di un solo linguaggio, un solo bagaglio di significati.

Camminò attorno alla piramide, portandosi al riparo della sua ombra, e provò un brivido per la sua imponenza. Le attrezzature erano state montate dagli operai specializzati alla cui squadra era fiero di appartenere. Un solo uomo dirigeva tutto: Leoni.

L'aria era secca e, nella luce che si frangeva sulla sabbia, distinse la figura di Elena che usciva dall'ombra, fiera, in un alone di riflessi che gli bruciavano gli occhi.

«Ciao, oggi come va?» le disse.

«Come ieri» rispose, fredda, la ragazza.

Viene a salutarmi rimanendo così rigida?... pensò.

«Cioè bene!» le disse, sorridendo.

«Naturalmente» rispose Elena, meccanicamente.

Peter scosse il capo. Gli occhi negli occhi, si chiese a chi volesse darla a bere. Si vedeva che era attratta: gli andava incontro, pur mostrandosi granitica... la sua durezza lo scoraggiava, come una richiesta di non andare oltre. Peccato. Ci si stava abituando.

Rimasero l'uno dinanzi all'altra qualche istante, sotto il sole. Sentì la gola secca e il bisogno di deglutire, senza riuscirci: lei continuava a fissarlo.

«Ciao» disse di nuovo Elena, dandogli un bacetto sulla guancia.

Peter era frastornato. Si sforzò di non farle capire la botta, ma non riusciva a parlare. Rise come un idiota.

Forse era il caso di confessarle il suo amore, pensò, per liberarsi dell'affanno. Scosse il capo, guardandola. Da un po' di giorni, in effetti, le attenzioni della ragazza erano aumentate, qualcosa era cambiato... roba da nulla! I discorsi erano rimasti gli stessi, Elena era sempre fredda e rigida, ma... stentava a riconoscerla! La ragazza di ghiaccio, i capelli neri che racchiudevano il viso, come una conchiglia attorno a una perla, ora pareva diversa.

Si sentì sciocco a provare la diffidenza degli innamorati.

«Ma... sei tule disse.

«Perché?» chiese lei, «Non mi riconosci?».

«No, è che...» rispose, torturandosi i capelli con la mano.

«Che cosa?» fece lei, respirando pesantemente.

«Ma sei tu davvero?» ripeté da sciocco, «O mi prendi in giro?».

Lei s'indurì.

«Ti aspettano» disse e se ne andò.

Peter rimase come un fesso, l'impulso di ridere per la sensazione di doccia fredda provata. Evitò per non farla arrabbiare.

Ora sì che è lei. Mio Dio, quant'è bella! Sono un imbecille.

Era meglio non pensarci, avrebbe avuto modo di recuperare, sempre chelei glielo permettesse. E proseguì ridacchiando.




Scontro remotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora