Capitolo 7: Lo Scettro sceglie Gemin

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Daniele non ne poteva più di correre.

«Fermati!» gridò, afflosciandosi a terra.

Gemin si fermò, fresco come una rosa.

«Siamo arrivati, sei contento?» disse.

L'amico si alzò a fatica. La via e i palazzi non gli erano nuovi. Tutt'attorno pullulavano bar e negozi familiari.

«Siamo a casa tua!» disse, «S... saliamo?».

«Perché? Sei forse ricercato?» rispose Gemin.

«Oh mio Dio!...» fece l'altro, coprendosi il volto.

«Mi sa che sei famoso, mi fai l'autografo?».

«Gemin, ti prego!».

L'amico lo guardò, batté gli occhi e sorrise.

«Siediti!» disse, indicando il marciapiede.

Vicino, c'era la bancarella di un venditore ambulante. Prese un cappello e lo esibì alla gente.

«Fate la carità! Fate la carità a un povero figliolo, seduto sui suoi stracci!».

Daniele era allibito. La gente camminava senza fermarsi.

«Ecco, hai visto? Nessuno ti caga» concluse Gemin, soddisfatto.

E restituì il cappello al venditore che lo riprese con un grugnito.

«Ognuno pensa ai fatti suoi. Ma che fai seduto? Sembri un barbone. Eccoti la chiave di casa mia. Vai».

Perplesso, Daniele la prese ed aprì il portone.

«Piano, sto male» fece Gemin, piegandosi.

«Cosa? Gemin, ma che fai? Sono io che ho male alla milza!».

«Muoio...» fece l'amico e lo seguì nel condominio.

Una volta dentro Gemin si rizzò, smettendo di fingere.

«Ci hanno seguiti?» sussurrò.

«No...» rispose Daniele, tremando.

«Ah bene! Abbiamo confuso gli inseguitori».

«Ma non c'è nessun inseguitore!» singhiozzò quello.

«Sssh! Apri piano che mi butto dentro... shh! Le chiavi tintinnano! Fegato ragazzo, non farti prendere dal panico!».

«Ma... quale panico! Sei tu che f... fai casino!».

La porta si aprì cigolando. Gemin fece una smorfia, strizzando gli occhi.

«Speriamo che non ci abbiano sentiti! Io entro, faccio un fischio e mi raggiungi. Capito?».

E si lanciò nell'ignoto del suo appartamento, sprezzante di divani, tavoli e sedie lì ad attenderlo da ore, come predatori. Daniele, sulla soglia, tremava come una foglia. Una signora anziana stava scendendo le scale e lo vide.

«Fossi più giovane parteciperei alla rapina anch'io» disse.

Daniele non oso ribattere, mentre la donna proseguiva ridacchiando. Ebbe paura di distrarla e farla cadere. Udì il fischio, abbandonò la postazione e raggiunse l'amico, padrone di quella terra ostile. Si guardò attorno, nervoso: nessuna traccia di Gemin.

«Daniele! Che sorpresa!» gridò questi, saltando fuori da un armadio, abbracciandolo.

«Cazzo, Gemin!» urlò l'altro, «m'hai fatto prendere un colpo!».

«Io? Perché? Mi entri in casa come un ladro e io ti faccio prendere un colpo?».

«Ma... t... ti nascondi nell'armadio... io non so!...».

«Zitto! La situazione! Qual è la situazione?».

«La s... situazione? Che s... sto impazzendo» balbettò Daniele.

Gemin lo fissava di sbieco, rigido e arcigno.

«La causa di tutto è lo scettro! Maledizione!» disse tutto d'un fiato, esasperato.

«Uh?» fece Gemin, «Lo scettro? Ma che m'interessa a me, tontolone: voglio solo sapere se hai chiuso la porta!» fece l'amico e andò a controllare.

Vedendolo allontanarsi, Daniele cercò di calmarsi.



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