Capitolo 4: Happiness or death?

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Sono quasi dieci minuti che me ne sto immobile, in piedi davanti all'armadio aperto, troppo pigra e distratta per frugare tra i vestiti e trovarne uno decente da mettere questa sera.
Mi giro verso il letto e guardo disperatamente i fogli, le penne e i libri sparsi sul piumino, reduci di due ore passate a studiare letteratura.
Qualcuno bussa alla porta: è mio padre, con il cappotto ancora addosso — deve essere appena entrato in casa — e regge tra le mani un pacchetto ricoperto dalla plastica.
Lo guardo in modo interrogativo e mi avvicino.
"Lo manda tua madre." Dice, scorrendo con gli occhi la breve scritta che ricopre l'imballaggio.
Ancora scossa e confusa per la telefonata di poche ore prima, prendo il pacco morbido dalle sue mani e lo ringrazio. Come speravo, lui se ne va tranquillamente, dopo avermi sorriso.
Faccio spazio sul letto, accantonando le cose sparse da un lato, e mi siedo a gambe incrociate, prendendo il bigliettino appoggiato sopra il pacco tra le mani.
Sono sicura ti servirà c'era scritto. Sorrido di fronte alla familiare calligrafia quasi incomprensibile. Tanti auguri, Un bacio. Mamma.
Sfioro la carta delicatamente, poi la strappo via, curiosa di vedere ciò che mi ha inviato: è un bellissimo ed elegante top nero, decorato da grandi ghirigori in pelle nera. Gli spazi vuoti sono ricoperti solo da uno strato semitrasparente che farà trasparire la pelle.
È davvero bellissimo e sembra capitato proprio al momento giusto: lo stringo al petto e sorrido. Poi mi dirigo verso l'armadio, impaziente di vestirmi: afferro dei pantaloni neri a vita alta e li indosso velocemente, per poi infilare il nuovo top. Una volta pronta, mi guardo allo specchio, ritrovandomi di fronte alla mia espressione soddisfatta: la taglia è perfetta e lo stile è molto accattivante, anche se non molto in linea con il gusto di mia madre.
Forse è un suo modo per farmi gli auguri. Per farmi sentire grande.
Infilo un paio di stivaletti neri e mi dirigo verso il bagno per finire di sistemarmi. Pettino i capelli biondo cenere e decido di passare un po' la piastra; poi li raccolgo morbidamente con un mollettone e inizio a truccarmi.
Mi ci vogliono due tentativi per fare una bella linea dritta con la matita marrone. Poi sciolgo di nuovo i capelli e aggiungo un filo di lucida labbra neutro.
Sono solo le sette, perciò nei minuti che rimangono sistemo il casino che ho creato in camera e ne approfitto per mettere a posto alcuni libri o vestiti sparsi per la stanza.

Alle sette e mezza precise sono ferma insieme a Emily e Zac davanti alla porta del ristorante giapponese che io e Ethan riteniamo il migliore in tutta Londra — per antipasto servono gli edamame gratis! — e ho appena messo giù la chiamata con Celine, che mi ha detto che sarà in ritardo di pochi minuti.
"Celine ci ha detto di entrare."Mi rivolgo agli altri due "Dobbiamo solo aspettare Ethan."
"Posso dirti un'altra volta che sei bellissima Grace?" Mi chiede Zac. Mi giro verso di lui con un sorriso a trentadue denti, per poi lasciargli un sonoro bacio sulla guancia.
"Sono d'accordo." Dice Emily.
"Me l'ha inviato mia madre." Spiego loro, indicando il top. "In verità..." le mie parole vengono improvvisamente interrotte da due mani fredde che mi si posano sugli occhi, da dietro.Emetto un gridolino di sorpresa e cerco di girare la testa, ma non ci riesco.
Emily e Zac ridacchiano tra loro.
"Allora mia diletta." La voce familiare di Ethan risuona alle mie spalle. "Sei pronta per rimanere senza fiato di fronte alla mia ineguagliabile bellezza?"
"No, credo proprio di no." Rido.
"Allora starai così tutta la sera." Ethan mi soffia sul collo, provocandomi brividi che mi fanno contorcere.
"Sono pronta." Dico con voce robotica e mi giro.
Ethan è normale, assolutamente normale.
Indossa dei jeans chiari, una maglietta bianca e una semplice felpa nera, aperta. Bello come sempre, ma normale.
"Ok." Dico squadrandolo. "Hai qualche vestito più bello sotto o cosa?"
Ethan saluta velocemente Zac e Emily, poi mi risponde "No ragazza, sono bello come sempre e mi stupisce il fatto che tu non ti meravigli ogni volta."
Alzo gli occhi al cielo. "Vogliamo entrare?" Chiedo e tutti mi seguono all'interno del ristorante.

"Ok, ok." Dice Celine, coprendosi la bocca piena di spaghetti di soia. "Sto per ricordarvi il modo in cui ci siamo conosciuti."
Il tavolo esplode in una serie di risate e di "Noooo" , mentre io mi infilo un pezzo di sushi in bocca, sorridendo divertita.
Osservo Zac cercare di afferrarne uno con le bacchette: sembra concentratissimo e quando si accorge che lo sto fissando gli iniziano a tremare le mani. Ride, e il pezzo di sushi gli cade nel piatto. Quindi ci riprova, con il solo risultato di farlo cadere nella salsa di soia.
Scoppio a ridere, per poi prendere furtivamente un sorso dalla birra di Ethan.
"Era un lontano giorno di gennaio." Inizia la storia Celine e noi la ascoltiamo divertiti. "I corsi pomeridiani erano cambiati, come citano le regole del semestre. Cinque poveri sfigati, come la leggenda racconta..."
"Sfigata sarai tu." Emily la interrompe, rubandole dal piatto un pezzetto di pesce crudo.
"Mhm." Borbotta Ethan, muovendo in aria le bacchette a mo' di rimprovero.
"Silenzio e ascoltate." Riprende Celine. "Stavo dicendo... La leggenda racconta che cinque ragazzi scelsero tutti quanti il corso di criminologia, interessati a dare un pizzico di novità alla loro vita monotona..."
"In realtà la mia vita aveva appena ricevuto una bella pentola di novità, altro che pizzico..." Mi intrometto, al ricordo del mio arrivo a Londra.
"Grace, sono piccolezze." Celine alza gli occhi al cielo.
Alzo le spalle sorridendo e la invito a continuare.
"Si conobbero fin da subito e da lì iniziò la loro profonda e inseparabile amicizia. Peccato che il modo in cui si conobbero non fu uno dei migliori..."
Ethan la interrompe con una risata "Direi!"
"Smettetela di interrompermi!" Sbotta la ragazza, ma poi scoppiamo tutti a ridere al ricordo dell'esperienza.
"Ho iniziato a citare Castle." Ethan inizia a spiegare e concludo io il suo discorso "E io ho ovviamente riconosciuto la mia serie tv preferita."
Emily ridacchia "Per Celine e Zac era odio a prima vista, ma sono capitati in banco insieme." Celine sorride a Zac. "E io..." Continua la ragazza "Ero arrivata in ritardo alla prima lezione."
"Fatto sta che, in un modo o nell'altro, siamo finiti tutti in detenzione. Da quel pomeriggio tutto è iniziato." Concludo il discorso, sorridendo al ricordo.
"Già." Diciamo tutti insieme, accasciandoci sullo schienale delle sedie.
"Vi voglio bene ragazzi." Dico loro "Grazie di essere qui con me. Non so come avrei fatto senza di voi a sopravvivere in una nuova città."
Tutti irrompono in esclamazioni sdolcinate.
Ethan invece aspetta il silenzio per dire la sua.
"Anche io ho qualcosa da dire..." Dice con un sorriso. Tutti lo osserviamo.
"Un altro giro di birre?" Propone. Gli tiro un leggero pugno sulla spalla, urlando andata!

Una volta conclusa la nostra serata è quasi mezzanotte, e mi sento leggera e frizzante.
Anche una volta fuori dal ristorante, fermi davanti all'entrata, non abbiamo mai smesso di parlare e io non faccio altro che ridere da almeno mezz'ora.
"Sicura che non vuoi che ti accompagni?" Ethan si sporge al mio orecchio, mentre gli altri iniziano a salutarsi.
"No davvero, non ti preoccupare." Lo rassicuro. "Sai che è qui vicino casa mia. E poi la allungheresti troppo ed è già tardi..."
"Grace." Ethan mi rimprovera "Mi spieghi perché ti fai ancora questi problemi con me?"
Alzo le spalle e lo saluto con un bacio sulla guancia "Grazie del pensiero." Gli dico.
Saluto e ringrazio per la serata tutti gli altri, poi mi incammino verso casa con le mani nelle tasche della giacca.
È una passeggiata di soli dieci minuti, quella necessaria per arrivare a casa, e la faccio molto volentieri. Amo camminare di sera, e ancor più di notte, quando l'aria è più fredda e la città si veste di luci e gente diversa.
Inspiro profondamente, riempendo i polmoni degli odori di Londra.
Questa città odora di vita.
Mentre cammino rifletto sul fatto che otto mesi fa non avrei mai pensato di chiamare l'appartamento di mio padre casa e neppure di camminare per le vie con il cuore leggero dopo una serata felice. Non pensavo avrei proprio potuto trovare le parole casa e felicità in qualsiasi posto che non fosse Bradford, da mia madre. Per la prima volta sento la vita, in tutte le sue molteplici sfumature, cadermi addosso con un'ondata di consapevolezza e sorrido, sorrido a me stessa e al mondo.
Presa da questi pensieri, giungo all'ultimo attraversamento che mi separa da casa. Il semaforo diventa verde, così inizio a percorrere le strisce pedonali, lo sguardo rivolto alla strada illuminata da frequenti lampioni.
All'improvviso un suono potente di clacson squarcia l'aria: è vicino, troppo vicino.
Mi giro allarmata, proprio in mezzo alla strada, e mi blocco. Vedo a rallentatore i fari di una macchina venire verso di me, sbandando e ondeggiando fuori corsia. Altri clacson risuonano, la gente urla, ma io sono impotente, paralizzata.
So che devo fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Ma nei brevissimi istanti che impiego a rifletterci, ormai tutto è scivolato via.
Non sento quasi più i rumori, non sento il mio stesso urlo di terrore e angoscia per ciò che sta succedendo.
Chiudo gli occhi.


Author's note:
Ed eccoci qui con il capitolo quattro della storia, che devo ammettere mi è piaciuto molto scrivere.
Non uccidetemi per la suspance, ma ci vuole ragazzi, che cos'è una storia senza l'ansia di sapere come va avanti?
Quindi, in dote di scrittrice, spero di avervene fatta venire almeno un pochino!
Nella foto abbiamo Grace con il top descritto sopra e finalmente il nostro Ethan (Sempre Ethan Dolan nella realtà) ragazzo che amo alla follia sia in questa storia che nella vita reale.
Grazie come sempre per tutti i voti e i commenti, un bacio -Bea

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