Capitolo 71: alcool consequences

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DEVIN's POV

Non appena metto piede fuori dal locale, la gelida aria di Londra mi colpisce in pieno, risvegliando i miei sensi come lo avrebbe fatto un secchio di acqua fredda. Gabriel mi sta aspettando in disparte, appoggiato al muro scrostato dell'edificio di fronte al Déjà Vu — così avevano chiamato quel losco locale mondano — con un cipiglio impaziente dipinto sul viso.
Lo raggiungo in pochi secondi, senza curarmi degli stivali che, calpestando una pozzanghera dietro l'altra, stanno schizzando la parte inferiore dei miei pantaloni. Ma quando il freddo di quella sudicia acqua arriva a contatto con la mia pelle, non posso fare a meno di imprecare infastidito.
"Londra senza pioggia sarebbe come la savana senza leoni." Borbotto, senza essere rivolto a nessuno in particolare. "Shakespeare l'aveva capito già quattrocento anni fa."
"Sono abbastanza sicuro che Shakespeare non abbia mai detto niente del genere." La voce infastidita e sapientona del mio amico interrompe le mie fantasie su una Londra piena di leoni arrabbiati. "Per quanto poetico possa sembrare alle tue orecchie, certo. Sei ubriaco?" Mi chiede, con tono più che sorpreso.
Ridacchio, alzando lo sguardo su Gabriel. "Sí, no, forse. Essere o non essere, questa è la fregatura!"
"La tua errata citazione di Amleto ne è la conferma."
Spalanco gli occhi, aprendomi in un'espressione indignata. "Stai forse insinuando che il mio apprezzamento verso Shakespeare è stato offuscato dal mio stato di ebbrezza?"
"No, Devin, ma mi sto domandando co-"
"Essere o non essere, questo è il problema!" Cito con tono teatrale, ignorando il sospiro esasperato del ragazzo al mio fianco. "Se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli."
"Se hai finito possiamo discutere di argomenti più seri." Sbotta Gabriel infastidito, facendomi dimenticare la continuazione dei versi. "Una spiegazione su cosa ti ha tenuto impegnato più di un'ora lí dentro, per esempio, sarebbe gradita."
"Amleto non ti aggrada abbastanza. Forse Sogno di Una Notte di Mezza Estate potrebbe farti ritornare il buon umo--"
Mi accascio su me stesso, colpito da un improvviso dolore allo stomaco. Ci metto qualche secondo a tornare lucido, e ancora di più a realizzare che è stato proprio Gabriel a sferrarmi il pugno, causa del mio dolore.
"Credo che tu mi abbia appena dato un pugno sotto alle costole." Borbotto, guardandolo in cagnesco.
"Finalmente hai detto qualcosa di sensato."
"Credo anche che non fosse necessario."
"Lo era. Ora, se ti va di spiegar--"
"Credo anche che tu mi abbia rotto qualche organo interno." Mi accascio con teatralità, interrompendolo di nuovo. "Sí, ne sono quasi sicuro. Salvami, mio cavaliere! Teletrasportiamoci insieme in infermeria d'urgenza."
"Bene. L'hai voluto tu."
Non faccio in tempo a pensare a niente, che sento la sensazione del teletrasporto avvolgermi interamente, mentre Gabriel mi stringe il braccio in modo quasi doloroso.
Quando il terreno torna prepotentemente sotto i miei piedi, una forte nausea mi coglie di sorpresa, facendomi barcollare.
"Devo vomitare." Dico sinceramente, senza troppe pretese.
"Ti passerà in fretta." È la risposta del mio migliore amico, un secondo prima di circondarmi il busto e caricarmi sulla sua spalla.
"Non credo questa sia la maniera adatta!" Urlo, portando lo sguardo dal terreno, ricoperto di soffice erba, al panorama che mi circonda. "E questa non sembra proprio l'infermeria! Perchè siamo ad Hyde Park?"
"Ti conviene stare zitto."
"Tu così non mi parli." Affermo sfottente — seppur consapevole di essere in una posizione di svantaggio totale — scandendo bene ogni parola.
"Allora ti entrerà acqua nei polmoni." Afferma con una nota di divertimento — o soddisfazione? Sono troppo ubriaco per capire la differenza — un secondo prima di lasciare la presa su di me.
Cado senza emettere un suono, aspettando che il terreno duro mi accolga tra le sue braccia. Invece affondo senza dignità in un'acqua talmente gelida, da farmi pensare di essere diventato parte di un blocco di ghiaccio.
Annaspo nell'acqua scura, cercando disperatamente di tornare in superficie; il gelo mi entra velocemente nei vestiti e nelle ossa, togliendomi il fiato. Quando finalmente riemergo, mi accorgo di alcuni sostanziali cambiamenti. Per prima cosa, sono immerso fino al collo – vestiti compresi – nel lago di Hyde park. Secondo, l'aria esterna è più fredda di quanto ricordassi. Terzo, i colori intorno a me sono incredibilmente più vividi di pochi secondi fa. Quarto, la mia testa è pesante come un macigno.
Mi sembra di essere morto e risorto nel giro di pochi attimi.
Esco dal lago a passi pesanti, gocciolando sul terreno e spargendo di fango ed erba ogni centimetro quadrato del mio corpo dalle ginocchia in giù. I miei piedi stanno praticamente ancora nuotando nell'acqua, data l'enorme quantità rimasta nelle scarpe, mentre i vestiti hanno aderito al corpo, rendendomi fastidioso ogni movimento.
Quando raggiungo Gabriel, che mi osserva con un cipiglio a metà tra lo sfinito e l'arrabbiato, ho sviscerato talmente tante imprecazioni ed insulti che mi ritrovo senza parole.
Apro la bocca, poi la richiudo, senza aver emesso alcun suono. La rabbia sta lentamente scivolando via dal mio corpo, come l'acqua che lo ricopre, e un forte senso si stanchezza la sta sostituendo. Le mani serrate a pugno iniziano a rilassarsi, e la lucidità a tornare padrona.
"Domani mattina parleremo." Mi dice, con tono serio e controllato. "Ora sei troppo messo male per biascicare una sola parola. Lavati, perché puzzi di pesce e alcool, e dormi, se la tua coscienza te lo permetterà."
Detto questo, senza aspettare alcuna mia risposta, si gira e, dandomi le spalle, si teletrasporta nel giro di pochi secondi.
Mi guardo intorno, allarmato che qualcuno abbia potuto vederlo. Ma i prati e i sentieri intorno a me sono completamente vuoti e silenziosi.
Solo il vento freddo, che muove le fronde degli alberi e mi fa rabbrividire, è restato a farmi compagnia in questo panorama desolato.

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