Capitolo 76: she's still there

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Brevissimo riepilogo dello scorso capitolo: Grace cerca di vivere serenamente la sua quotidianità, ma si accorge che il professore di francese ha notato il suo calo di motivazione. Devin mente con successo al nuovo Consiglio, che lo aveva convocato per interrogarlo sul comportamento sospetto di Grace.
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DEVIN's POV

Spalanco la porta della mia camera, entrandoci a passo svelto. Gabriel mi guarda a braccia incrociate, semi disteso sul mio letto.
"Allora?"
So di dovergli una risposta. Mi ha aiutato lui a decidere cosa dire di fronte ai membri del consiglio.
"Tutto regolare." Borbotto, sfilandomi di dosso la maglietta sudata e afferrandone una nuova.
"Tutto qui? Dove stai andando?"
"Esco. L'ultima volta che ho controllato era ancora legale farlo, Gabriel."
Mi guardo di sfuggita allo specchio, accorgendomi di aver indossato la maglietta al contrario.
I miei nervi sono tesi come corde di violino. Mentire così spudoratamente al Consiglio ha fatto crescere in me un fastidioso sentimento di irrequietezza. Mi sono apertamente schierato contro la legge e la Giustizia, e ora le domande iniziano ad assillarmi.
Per cosa sto rischiando tutto? Per cosa sto combattendo?

"Dimmi che non dovrò preoccuparmi per te." Mi incalza, aggrottando le sopracciglia.
Io stringo i denti, sentendo la ferita vicino alla scapola bruciare.
Spero non si sia aperta di nuovo.
Al momento di proteggere Grace, ieri sera, quasi non mi ero accorto di essermi ferito. Ma adesso il taglio si fa sentire e non ha intenzione di rimarginarsi.
"Non dovrai preoccuparti per me."
Ignoro il suo sbuffo, iniziando a cercare la mia felpa nera tra i vestiti buttati sulla sedia.
"Non ho intenzione di ubriacarmi di nuovo, se è questo che temi." Annuncio dopo qualche secondo di silenzio, continuando a dargli le spalle.
Dove diamine si è nascosta quella felpa?
"Hai parlato con Giusy?"
Mi blocco, cercando dentro di me tutto l'autocontrollo necessario per non sbatterlo fuori dalla stanza. Gabriel sa quando non è il momento adatto per parlarmi di certe cose. O meglio, parlarmi in generale. Sa riconoscere quando starmi alla larga. E allora perché non lo fa?
"No." Rispondo secco.
"Come immaginavo. Perché ti ostini a non farlo?"
Ridacchio con amarezza, scuotendo la testa.
"Non mi ostino a non farlo." Affermo, scandendo con tono ogni parola. "Mi hai davvero scambiato per qualcuno a cui importa qualcosa di quella ragazza?"
"Non proprio. Ma potrei averti scambiato per qualcuno che ha ancora un po' di dignità e carità umana verso gli altri."
"Non posso immaginare la tua delusione, allora."
"No non puoi. E da quando ti comporti così con me?"
Mi giro verso di lui, aggrottando le sopracciglia. È solo un brutto momento. Ti prego, Gabriel, recepisci il messaggio. Vattene.
"Così come?"
"Così irraggiungibile, sprezzante, lontano." Risponde, calibrando il peso di ogni aggettivo.
"Pensavo che il comportamento da riservare a me fosse un po' diverso da quello che riservi agli altri."
"Sono davvero così con gli altri?" Domando, alzando le sopracciglia.
"Oltre che stronzo, ombroso ed eccentrico, sì."
Ha davvero deciso che vuole spingermi al limite. Vuole sapere qualcosa, e spera che facendomi arrabbiare riuscirà a torcermi una confessione.
"Interessante." Affermo con un'alzatina di spalle. "Soprattutto l'aggettivo eccentrico. Sono felice che venga usato per descrivermi, mi è sempre piaciuto. Mi ricorda un grazioso centrino da tavolo ricamato."
Sbuffa. "Penso davvero che dovresti smetterla di nascondermi le cose. Ti sta facendo male, e non so come aiutarti."
Bingo. Come avevo previsto.
"Grazie Gabriel, ma non ricordo di aver chiesto la tua opinione, né il tuo aiuto." Affermo, tornando a dargli le spalle.
"Ovviamente. Piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno preferiresti fallire miseramente."
"Questo non è del tutto vero." Borbotto.
"Ah no? Quindi a otto anni non sei caduto da una trave a sei metri d'altezza e ti sei fratturato tre dita solo perché ci eri salito da solo e non volevi che nessuno ti aiutasse a scendere?
Decido di restare in silenzio, e continuo a frugare tra i vestiti.
"Dannazione!" Esclamo, avendo ormai buttato in aria ogni singolo capo d'abbigliamento che era appoggiato sulla sedia. "Dove diavolo è finita quella fottutissima felpa?"
"È davvero più importante della conversazione che sto cercando di avere con te?" Mi chiede con tono disperato.
Sospiro rumorosamente, afferrando la solita giacca di pelle e indossandola in tutta fretta. Poi mi giro senza dire nulla, indirizzandomi verso l'uscita della stanza.
"Devin." Mi apostrofa, afferrando bruscamente il mio braccio. Mi volto verso di lui, agganciando i miei occhi ai suoi, così azzurri, familiari, preoccupati.
"Ma quale conversazione, Gabriel?" Dico scocciato. "Vuoi sapere dove sto andando, così da seguirmi e farmi da papino?" Il fatto che tu non abbia un Assegnato, e quindi praticamente niente da fare tutto il giorno, non implica che tu debba ripiegare su di me!"
Butto fuori l'aria, sorpreso dalle mie stesse parole. Lo guardo spalancare gli occhi, togliere la mano dal mio braccio e fare un passo indietro, sconvolto.
Una smorfia di disgusto si dipinge sul suo viso. "Vai all'Inferno, Devin."
Stringo la mascella, raggiungendo in pochi passi l'uscita della stanza.
"Fidati, ci sto lavorando."

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