Chapter 1

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Mentre postavo l'ennesima foto su Instagram, alle 7:00 del mattino, mia madre mi urlava dall'altra parte della camera per dirmi che era tardissimo e dovevo andare a scuola.
Ero solita a postare foto, usare il cellulare e inventare mille scuse al mattino pur di fare almeno un po' di ritardo, così che, mia madre, era costretta a farmi restare a casa.
Proprio così: dovevo alzarmi alle 6:00 per poter uscire di casa alle 7:05 precise.
Tutto questo perché io e mia madre abitavamo in una piccola casa a Laguna Larga, in Argentina, e la mia scuola era lontanissima da casa nostra; dovevo prendere ben due autobus e farmi 5 minuti di strada a piedi.
In parole povere mio padre era letteralmente scappato con un'altra donna, aveva fatto altre due bambine e non gli interessava più niente di me e di mia madre.
Insomma la mia vita era una vera e propria merda e andare a scuola non aiutava la situazione.
No, perché io odiavo la scuola, odiavo i miei compagni di classe e odiavo gli insegnanti.
Odiavo tutti.

«Muoviti o farai tardi a scuola!!!» Urlava mia madre, ormai senza più fiato.

«Mamma sei proprio sicura che devo andare? Preferisco rimanere qua ad aiutarti a pulire la casa.»

«Vai a scuola, non serve che stai qui a fare la fame insieme a me.»

«Voglio solo aiutarti.»

«Non ce n'è bisogno. Vai a scuola.»

Così, triste e amareggiata, presi il mio zaino e mi avviai verso l'uscita.

«Mi raccomando non tornare a casa con l'ennesima nota disciplinare.»

«Non ti prometto niente, mamma.»

Chiusi la porta e scesi le scale che portavano in strada.
Erano le 7:10, ma la strada era già piena di auto e persone che correvano per non fare tardi a lavoro.
Io, come al mio solito, camminavo lentamente e non riuscivo a capire come potevano correre a quell'ora del mattino.
Arrivai alla fermata dell'autobus e aspettai una decina di minuti.
Nel frattempo si avvicinò a me un mio compagno di classe per parlare, ma io non lo guardai nemmeno.

«Ciao Leah, come stai? È un po' che non vieni a scuola.»

«Bene, grazie.» Risposi, continuando a guardare il vuoto.

«Meno male, comunque anche io sto bene.» Mi rispose risentito.

Non badai più a lui, dato che odiavo le persone false che si interessavano solo per scuriosare, e finalmente arrivò l'autobus.
Salii, mi misi a sedere nel solito posto da una persona, così da non essere disturbata più da nessuno, e portai le cuffiette alle orecchie.
Pensavo a tutta quella merda che mi circondava ogni giorno e a quanto sarei voluta partire per l'Italia e andare da mio padre per picchiarlo per bene, ma purtroppo, con quei pochi soldi che avevamo, non potevamo permetterci un viaggio del genere.

Il tragitto sembrò durare un'eternità, quando, finalmente, arrivammo, e io, con le mani nelle tasche del giubbotto, le cuffiette alle orecchie e la bocca dentro la mia sciarpa, scesi dall'autobus e filai dritta a scuola.

Appena arrivai in classe incontrai le ochiose (ovvero "oche odiose"; così le chiamavo io).

«Leah, ma ciao!» Mi disse ironicamente la mia, più stronza, compagna di classe, Sophia.

Non la guardavo nemmeno, ma lei continuava a parlare a sproposito.

«Come mai non ti sei più fatta vedere? Tua madre non poteva comprarti i biglietti dell'autobus?» Rideva con le sue amiche idiote.

Io continuavo a ignorarla e mi sedetti al mio banco.

«Come mai non rispondi? I topi che hai in casa ti hanno morso la lingua?» Altre risate.

"Un giorno o l'altro te le farò pagare, giuro." Pensai.

«Lasciamola stare, è inutile perdere tempo con una così.» Sbuffò Sophia andandosene.

Finalmente (o forse no) entrò la professoressa della prima ora.

«Ragazzi, ho portato le vostre verifiche.» Disse.

Ecco, la giornata non poteva iniziare peggio di così.

Dopo 5 ore di inferno, finalmente tornai a casa.
Ero sempre più triste e delusa dal mondo che mi circondava, non volevo nessuno al mio fianco, certe volte nemmeno mia madre.
Avevo 19 anni e già non ne potevo più della mia vita, perché tutti mi giudicavano brutta, antipatica e asociale, ma nessuno aveva mai provato a conoscermi veramente e a starmi accanto senza prima giudicarmi. Avevo passato delle brutte esperienze e in famiglia la situazione non era delle migliori, e i miei "amici" che facevano? Peggioravano le cose.
Delle volte avrei solo desiderato togliermi la vita, farla finita, ma poi pensavo che mia madre avrebbe dovuto pagarmi il funerale e non avrei mai voluto causargli questo problema economico.

«Tesoro sei tornata?»

«Si mamma.»

«Com'è andata a scuola?»

«Meglio del solito, ho preso 7 nella verifica di scienze.»

«Bene, bene. Devo dirti una cosa.»

«Dimmi.»

«Un'ora fa ha chiamato tuo padre...» Sospirò.

«Cosa voleva?»

«Voleva parlare con te, ma non so di cosa. Io gli ho detto che eri a scuola e lui ha risposto che ti avrebbe richiamata domani.»

«Spero che muoio da qua a domani.»

«Non dire così, magari ti chiama per farti andare da lui, almeno ti levi da questa povertà e inizi a mangiare come si deve.»

«Mamma a me non interessa, ok? Preferisco mille volte di più stare qua e non mangiare ogni giorno, piuttosto che andare da lui e dalla sua peste di moglie!»

«Dai, vai a lavarti le mani e poi vieni a mangiare.»

Andai in bagno e mi chiusi dentro: iniziai a piangere.
Nessuno mi avrebbe mai salvata da questa situazione, nessuno.
Odiavo me stessa e gli altri, che ci facevo qui sulla terra? In qualche modo maledico mia madre di avermi messa al mondo.
Presi una lametta dallo stipetto vicino allo specchio e iniziai a lacerare la mia pelle più in profondità che potevo.
Non era la prima volta che lo facevo e non sarebbe stata nemmeno l'ultima, mi sentivo meglio in qualche modo.
Il sangue caldo usciva dal mio braccio e andava a sporcarmi la maglietta bianca che avevo addosso.
Sentivo un dolore che era misto al piacere; era una cosa che non riuscivo a descrivere, ma stavo meglio.

«Hai finito??? Vieni a mangiare, dai!»

La voce di mia madre mi distrasse dal mio "lavoro".
Così dovetti ripulire tutto e andare a tavola.
Mia madre non si era mai accorta di nulla e non avrebbe mai dovuto accorgersene, ma non avrei potuto continuare così, avrei dovuto smettere e lo sapevo.
Ogni volta, dopo che mi tagliavo, mi promettevo che non l'avrei mai più rifatto, ma, la volta dopo, ci ricascavo. Era un vizio da cui non riuscivo a smettere.
Avevo solo bisogno di qualcuno, qualcuno da avere vicino e da amare veramente.

21 grammi di felicità (#Wattys2017) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora